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La zucca rossa in agrodolce: “U FICATU RI POVERI”

di Monica Militello Mirto
Home Cultura Cucina

“Cum sali et melli semper cucurbita erit”. Così pensa uno studente del liceo classico di un compagno/a che non ha alcuna speranza di potere migliorare  qualunque cosa dica o faccia. Il palermitano che non ha studiato il latino, invece, la tradurrà in classica lingua madre in un’espressione assai più colorita, ovvero “conzala comu voi, sempri cucuzza è” (puoi condirla come vuoi, sempre zucca resta) il che lascia anche sottintendere che la zucca sia insipida sempre e comunque, nonostante non sia così.

Infatti le tante varietà appartenenti alle cucurbitacee hanno gusti diversi e nella fattispecie oggi parleremo alla zucca rossa, quella che portò tanta fortuna a Cenerentola.

Nella leggenda di Jack-o-lantern, originaria dell’irlanda, invece, la zucca è legata a un tema meno allegro ed è, come si sa, il simbolo della festa di Halloween. Svuotata e con all’interno una candela, terrà lontana l’anima errante di Jack, talmente empio da essere cacciato anche dal Diavolo.

Un altro detto autoctono, “testa c’un parra si chiama cucuzza” (chi non esprime la propria opinione è uno stupido) indica lo scarso acume del soggetto in questione che, in questo caso, viene paragonato all’ortaggio svuotato dalla polpa, altrimenti detto “zucca vuota” o, sempre in siciliano, “cucuzzune” (zuccone).

Il termine cucuzza deriva dal latino cucutia (zucca) a sua volta probabilmente derivante dal greco Kùkuon o kukùiza. Dopo la conquista delle Americhe, anche in Italia ne arrivarono diverse varietà, ma essendo coltivate e consumate soprattutto dai ceti meno abbienti venivano considerate cibo dei poveri. Com’è noto tantissime gustose preparazioni gastronomiche siciliane, preparate con materie prime meno costose, sono imitazioni dei piatti delle ricche mense nobiliari.

Infatti, una di queste è la “zucca in agrodolce” la cui origine, secondo diverse fonti, è legata al mercato della Vucciria, uno dei più antichi di Palermo. Qui fra i macellai del tempo chiamati Vuccèri (dal francese boucher) e venditori che esponevano generi alimentari di ogni tipo, nacque tale specialità palermitana che per morbidezza e sapore richiamava al gusto il fegato panato, fritto e adagiato su salsa in agrodolce e, proprio per questo anche come “ficatu ri poveri” o “ficatu ri sette cannoli” (fegato dei sette rubinetti).

Quest’ultima definizione ha diverse versioni, ma la più attendibile potrebbe riguardare la provenienza della zucca rossa, ai tempi coltivata nei terreni della “Settecannoli”, a sua volta così denominata per la presenza di una fontana con sette rubinetti chiamati in dialetto siciliano cannoli.

Il colore arancio del grosso ortaggio a spicchi rallegra i banchi di ortofrutta nei mercati, mentre il profumo della “zucca in agrodolce”, che può essere servita anche come antipasto, pizzica l’olfatto e stuzzica l’appetito. La cucina odora ancora di zucca appena fritta, c’è già il bicchiere pronto con la perfetta proporzione d’acqua, zucchero e aceto. Il liquido dall’odore leggermente acre versato sulla zucca sfrigola e sfuma per qualche secondo a  contatto con la padella calda, e quando vengono aggiunti aglio e menta (detta mentuccia nei quartieri più popolari) si sprigiona un profumo neurotonico.

Molte preparazioni gastronomiche siciliane sono in agrodolce e la materia prima quindi, non deve mai mancare in dispensa: l’aceto. All’occorrenza, è oltretutto un ottimo tonico da “sniffare” in caso di mancamento, tanto quanto i sali che rianimavano le gentildonne di un tempo dedite a uno sport molto diffuso: lo svenimento a comando.

Nel romanzo «La vecchia dell’aceto» di Luigi Natoli, invece, l’aceto aveva un effetto tutt’altro che corroborante. La vicenda narra di Giovanna Bonanno, una mendicante che in cambio di somme di danaro vendeva alle mogli infelici una mistura letale, il “liquore arcano aceto”, composta da aceto e arsenico, per liberarsi dei mariti.

La maara (maga, megera) venne arrestata dopo essere stata scoperta da una suocera insospettita dal fatto che la nuora convolasse a nozze pochissimo tempo dopo la morte del marito. Venne impiccata nel 1789 e si dice che il suo fantasma continui a vagare, in cerca di pace, nei luoghi in cui ella visse. Che bella coppia, lei con l’aceto e Jack o’ lantern con la sua zucca.

Sarebbe però opportuno avvertirli che non possono più gironzolare impunemente senza mascherina e soprattutto dopo un certo orario, poiché non è più consentito. Potrebbero, visto che hanno gli ingredienti necessari, preparare un bel piatto di “zucca in agrodolce”.

A volte un po’ di ironia serve per esorcizzare le paure che attanagliano l’anima nei periodi bui, più bui delle notti in cui vagano queste due anime erranti.

Ingredienti: 

1 kg di zucca

2 spicchi d’aglio

Mezzo bicchiere di olio EVO

1 bicchiere d’acqua

5 cucchiai di aceto bianco

1 cucchiaio di zucchero

Menta

Sale q.b.


Preparazione:

Per l’agrodolce mescolare acqua, aceto, sale e zucchero (le quantità di quest’ultimi variano a seconda del gusto personale)

Tagliare la zucca in fette mediamente spesse e friggerle nell’olio d’oliva. Adagiarle in una padella, aggiungere l’agrodolce precedentemente preparato e versarlo sulla zucca, l’aglio, la menta e lasciare sobbollire per qualche secondo. 

La zucca in agrodolce è ottima da gustare sia calda che fredda.

Buon appetito

di Monica Militello Mirto – EmmeReports

Tags: cucinacucina sicilianaGiovanna BonannohalloweenMamma ChefPalermoSiciliazucca rossa
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Monica Militello Mirto

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