Le barbe dei talebani, in Afghanistan, non sono quelle di vent’anni fa e neppure i volti naturalmente. Gli sguardi, costruiti ad arte, a favore di camera, sembrano distesi. In realtà nulla o quasi è cambiato nella galassia jihadista del mondo talebano dal 2001 ad oggi. L’uso delle armi da fuoco, la frusta per strada. La semplicità con la quale si spara un colpo in testa, ad una donna, un anziano. Nulla di tutto questo è cambiato nonostante i vent’anni trascorsi.
Chi sono dunque i talebani che hanno preso il potere in Afghanistan? Intanto va detto che sono soggetti molto abili, evidentemente ben indirizzati dagli specialisti pakistani e non solo, al punto che sono riusciti nell’obiettivo di sfiancare gli americani e il mondo occidentale, partendo da Doha. Si, li negli Emirati è stata messa a punto la strategia politica che ora sta facendo pagare il conto all’inquilino della Casa Bianca, indebolito nel gradimento da parte degli americani, come non mai e sotto attacco delle cancellerie europee per la disfatta mediatica che si è consumata nelle strade dell’Afghanistan da una settimana.
Chi sono dunque i nuovi padroni dell’Afghanistan? E ‘opportuno iniziare con Haibatullah Akhundzada, il leader principale. E ‘il mullah nominato alla guida dei talebani nel maggio 2016. A pochi giorni dopo la morte del suo predecessore, Akhttar Mansour, ucciso da un drone americano in Pakistan, inizia la sua rapida ascesa al potere. In realtà un soggetto praticamente sconosciuto prima della sua nomina. Si tratta di un personaggio erudito, esperto di questioni giuridiche e religiose che, è riuscito ad ottenere in tempi rapidi una promessa di lealtà da Ayman al-Zawahiri, il capo di Al Qaeda. E’da considerare una guida simbolica del movimento, anche perché sembra che sia poco esperto di strategia militare. Ayman al-Zawahiri, il capo di Al Qaeda, lo ha sopranominato “l’emiro dei credenti” certificando così la sua credibilità nella galassia jihadista. Si deve a lui la rinascita del movimento talebano; figlio di un teologo, nativo di Kandahar, nel Sud dell’Afghanistan, è riuscito in pochi anni, ed in silenzio, nel difficile compito di unificare i talebani che alla morte di Mansour avevano aperto una feroce faida interna per la conquista del potere.
Altro elemento di spessore è Abdul Ghani Baradar, il co-fondatore. Cresciuto a Kandahar, ma nato nel 1968 nella provincia di Uruzgan (Sud), è stato uomo di prima linea nella guerra contro i sovietici negli anni ’80. La fine dell’occupazione dei russi coincise con la nascita una madrasa a Kandahar fondata insieme al suo ex comandante e presunto cognato, Mohammad Omar, deceduto nel 2013 e la cui morte è stata nascosta per due anni. Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del Paese e alla creazione di un emirato.
Baradar è considerato l’artefice della vittoria militare del 1996 così come di quella odierna. Nei cinque anni di regime talebano, fino al 2001, ha ricoperto una serie di ruoli militari e amministrativi e quando l’Emirato cade, occupa il posto di vice ministro della difesa. Nel 2001, dopo l’intervento Usa e la caduta del regime talebano, Baradar avrebbe fatto parte di un piccolo gruppo di insorti pronti alla firma di un accordo con il quale riconoscevano l’amministrazione di Kabul, ma si è trattata di un’iniziativa infruttuosa. Nel 2010, quando è stato arrestato a Karachi, in Pakistan, Baradar era allora il capo militare dei talebani. Durante il suo esilio, durato in tutto 20 anni, ha saputo mantenere la leadership del movimento. Nel 2018, è stato liberato su espressa richiesta e pressione di Washington e ha firmato gli accordi di Doha. Un cinico ma intelligente, ascoltato e rispetto dalle diverse fazioni talebane, è stato successivamente nominato capo del loro ufficio politico, stabilito in Qatar, da dove Baradar ha portato avanti i negoziati con gli americani, che hanno portato al ritiro delle forze straniere dall’Afghanistan e ai fallimentari negoziati di pace con il governo afghano. E’lui ora il principale candidato alla presidenza del nuovo governo ad interim afghano.
Sirajuddin Haqqani è il numero due dei talebani e il leader della potente rete che porta il nome della sua famiglia. Figlio del celebre comandante della jihad antisovietica, Jalaluddin Haqqani fondatre della rete Haqqani, ritenuta terroristica da Washington, che l’ha sempre considerata una delle fazioni più pericolose per le truppe Usa e Nato dell’ultimo ventennio. Punto di forza della rete è la disponibilità infinita di uomini kamikaze. Sono loro infatti i principali responsabili degli attentati più devastanti perpetrati in Afghanistan negli ultimi anni. Gli Haqqani sarebbero responsabili delle operazioni dei talebani nelle zone montuose dell’Est dell’Afghanistan e avrebbero una forte influenza sulle decisioni prese dai vertici del movimento; considerati autonomi e indipendenti, gli è riconosciuta grande abilità a combattere e a realizzare fruttuosi affari.
Infine, ma non ultimo, tra i capi talebani va considerato anche il Mullah Yaqub, trentenne figlio del defunto mullah Mohammad Omar, capo della potente commissione militare dei talebani che stabilisce le linee strategiche nella guerra contro il governo afghano. Yaqub ha saputo sfruttare al massimo il forte ascendente derivato dall’eredità del padre, che in molti villaggi è oggetto di vero culto. Il Mullah Yaqub è considerata figura unificatrice all’interno del movimento talebano. Sono questi gli uomini di punta a guida degli studenti coranici che hanno ridicolizzato, diplomaticamente prima e mediaticamente poi l’America. Sono bastati pochi giorni per far emergere la verità su tutto. L’Afghanistan è stato lasciato ai talebani perché gli accordi di Doha, gestiti con grande astuzia dagli stessi talebani hanno convinto l’America, già decisa a lasciarlo il paese, che fosse ora il tempo. Un accordo siglato dall’amministrazione Trump, che ha garantito che nessun soldato americano fosse oggetto di attacchi e attentati dal mese di gennaio scorso. L’impegno assunto dall’America, era a lasciare l’Afghanistan entro la fine di agosto (in realtà si era detto simbolicamente l’11 settembre). La speranza di Washington era che per un periodo, anche breve, ma di certo di qualche mese, la situazione poteva rimanere nei confini di scaramucce tra talebani ed esercito afghano. In realtà l’accelerazione del tutto è stata determinata da una scelta unilaterale dei talebani, in conflitto tra parte politica e parte militare, che l’America a questo punto ha dovuto subire. La frangia più estremista e meno politica dei talebani infatti, ha voluto riscattarsi mediaticamente agli occhi del mondo, venendo meno agli accordi e ridicolizzando gli americani, che rimangono nella galassia islamista i nemici di sempre.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports