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L’antica tradizione della Festa dei morti

by Monica Militello Mirto
Home Culture

La notte fra l’uno e il due novembre è pregna di mistero e a Palermo nella maggior parte delle abitazioni si aggirano nel buio strane figure.

Le stanze in cui si materializzano, mentre i bambini dormono, sono soprattutto il soggiorno o la cucina, in cui verrà allestita una tavola non per consumare una spaghettata notturna, ma per altro.

Operando in tempi ridottissimi e, muovendosi nell’oscurità, di tanto in tanto incespicano pestandosi a vicenda i piedi o urtando sedie e spigoli, ma dovranno soffrire in silenzio poiché ogni minimo rumore desterebbe i pargoli e rovinerebbe la sorpresa che stanno preparando.

Non appena i bimbi si sveglieranno, infatti, troveranno quella tavola piena di dolci e doni portati, come vuole la tradizione, dai… Cari estinti.

Contrariamente a quanto si possa pensare, non vi è nulla d’inquietante poichè la Festa dei morti, nella tradizione palermitana, è una ricorrenza tutt’altro che triste e rappresenta un modo delicato e dolce, in tutti i sensi, per far ricordare ai bambini i nostri cari che non ci sono più.

La sera del primo novembre, quindi, si conza a tavola pi’ morti, ovvero si imbandisce la tavola con caramelle cioccolatini, fili dorati e i classici della nostra tradizione: i tetù o misto siciliano, la frutta di martorana e a pupaccena. 

È plausibile che il conzare (preparare) derivi dall’usanza, particolarmente diffusa nel meridione, dell’offrire il pranzo ai vicini di casa e ai loro parenti che, colpiti da un lutto, hanno vegliato tutta la notte il proprio caro.

Essa prende il nome di ”cunsulu“.

I bambini, al loro risveglio, guardando stupiti il ben di Dio apparso quasi per magia hanno l’imbarazzo della scelta fra i Tetù, la colorata frutta di martorana e dal pupo di zucchero.

I Tetù e Teio (uno a me uno a te), che riempiono le vetrine di tutte le pasticcerie di Palermo, vengono preparati con gli avanzi di biscotti e altre preparazioni cui viene aggiunta farina di mandorle, cannella e infine, ricoperti sia di glassa bianca che al cioccolato, attendono di essere gustati. 

La Frutta di martorana, immancabile protagonista sulla tavola il giorno  della Festa dei morti, è una gioia per gli occhi e la perfetta riproduzione di frutta, ortaggi, panini con la milza e tanto altro meraviglia sempre anche noi Palermitani. 

È una preparazione antica e rinomata, un tempo confezionata dalle suore nel convento annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio.

Successivamente, la nobildonna Eloisia Martorana fece costruire un monastero benedettino accanto alla chiesa e tutto il complesso prese il nome “della Martorana” in suo onore. Si narra che il giardino e l’orto del convento fossero fra i più belli di Palermo e il vescovo della città di quegli anni, incuriosito, volle sincerarsi di persona. Quella visita era stata programmata in autunno, proprio per la festa di Ognissanti, quando gli alberi non producevano più frutti ed è così che alle suore venne l’idea di ricrearli con la pasta di mandorle e addobbare con questi gli alberi. 

Ultima, ma non ultima, presenza è la pupaccena. 

I soggetti per moltissimi anni sono stati i paladini di Francia, protagonisti dell’opera dei pupi, ma nel tempo si sono aggiunte anche altre figure come il carretto siciliano, personaggi delle fiabe e dei cartoni animati. I tempi cambiano e la pupaccena si adegua.

L’origine dei pupi di zucchero è contesa e dubbia. Secondo una leggenda si farebbe risalire a un nobile arabo in rovina che non avendo cosa offrire per cena ai propri amici, chiese al cuoco di preparare una ricetta a base di zucchero. Secondo altre fonti, invece, sembra risalga al tempo in cui a Venezia si tenne un banchetto in onore di Enrico di Valois, cui vennero offerte delle sculture fatte di zucchero, così come di zucchero erano le stoviglie e i tovaglioli. Questi ultimi talmente perfetti da ingannare il re, tanto da stupirlo quando ne cadde uno frantumandosi.

Sia nella prima versione che nella seconda quelle preparazioni vennero servite a cena e da qui, probabilmente, deriva il termine pupaccena.

Molti si chiedono cosa c’entri il pupo di zucchero con la Festa dei morti e la risposta è da ricercare ai tempi dei romani. Il loro culto dei defunti era legato alla fabbricazione di piccole bambole di lana o stracci che, appese sulle porte di casa proteggevano da vendette o maledizioni delle anime dei trapassati. 

Da tempo immemorabile in occasione della festa, ai dolci si sono aggiunti i giocattoli e al mattino in ogni casa a ogni bambino verrà fatta la domanda di rito, ovvero “chi ti purtaru/misiru i morti” (cos’hai ricevuto dai morti) come se l’adulto non lo sapesse. 

Anche in altre parti del mondo il culto dei morti è molto sentito e la ricorrenza che ha più similitudini con la nostra Festa dei morti è il Día des los muertos che si svolge in Messico. In occasione della festività, gli spiriti vengono accolti con gioia e tornano nell’immaginario in mezzo ai vivi. Nelle case  vengono allestiti degli altari chiamati ofrenda  che rappresentano la porta tra la vita e la morte. Non hanno i pupi, ma calaveras, ovvero teschi di zucchero, pan de muertos e cibo e acqua per ristorare il defunto lungo la lunga strada verso casa, a volte disseminata di petali di cempasuchil (calendula).

È una notte di gioia e divertimento, si balla, si mangia, si beve, si canta e i cimiteri si illuminano di luci e colori variopinti, nell’attesa che i propri cari tornino, poiché la morte non deve essere temuta, ma considerata quel passaggio che conduce all’eternità, nell’alternarsi infinito della vita e della morte. 

Nella necessità di esorcizzare la paura più grande dell’uomo il bisogno di contrapporre l’allegria alla tristezza dell’assenza di chi ci ha lasciato. Il giorno dedicato ai defunti a ognuno di noi piace immaginare coloro che amiamo, ancora più vicini. Come gli antichi popoli, anche noi teniamo i nostri cari in vita grazie alla nostra memoria, ma se smettessimo di conservarne il ricordo svanirebbero dimenticati per sempre. 

FRUTTA DI MARTORANA 

Ingredienti

2 Kg di zucchero

1Kg di farina di mandorle

1 pizzico di vaniglia

2 gocce di essenza di mandorla amara

150/200 ml di acqua

di Monica Militello Mirto – EmmeReports

Tags: cucinacucina sicilianaFesta dei MortiMamma ChefPalermoSiciliatradizioni

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© 2020 EmmeReports Editore Francesco Militello Mirto Direttore Responsabile Antonio Melita Autorizzazione Tribunale di Palermo N.5/2020 Registro Stampa Decreto del 23/6/2020.

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