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Unità d’Italia: fatti reali e mistificazioni neoborboniche

by Vittorio Emanuele Miranda
Home Culture

Non nascondo di essere stato scambiato in passato per un neo Borbone perché in merito al tema risorgimentale, non mi sono mai fatto problemi ad ammettere che quella del nuovo Regno d’Italia ai danni del Regno delle Due Sicilie, sia stata una vera e propria invasione.

E’ innegabile che se la partenza di Giuseppe Garibaldi da Quarto per arrivare a Marsala, fosse stata fatta ai nostri giorni, sarebbero già intervenuti i caschi blu.

Senza poi dimenticare la presunta corruzione del Comandante Acton che permise lo sbarco dei Mille senza troppi disturbi e il “furto” o per meglio dire “bottino di guerra del vincitore” che svuotò le casse reali borboniche, per diventare poi patrimonio di Stato.

Pur esistendo da sempre, negli ultimi decenni, si assiste ad una “revisione storica” dei neo Borbonici, che sembra riscuotere non pochi successi, grazie a personaggi come Pino Aprile, Gennaro De Crescenzo (presidente del movimento borbonico), Edoardo Bennato e Giuseppe Povia.

Per quest’ultimo personalmente nutro una grossa stima soprattutto per il coraggio che mostra nel cantare temi che gli sono valsi l’esclusione dal mondo dello spettacolo.

Un revisionismo storico con il quale vengono filtrate però millanterie a buon mercato riguardo la “Vera Storia” del Risorgimento italiano e di come i Savoia avrebbero depredato le ricchezze del Sud, trasformando il Meridione da un paradiso terrestre sotto l’egida dei Borbone ad una colonia sfruttata, impoverita e depredata.

Personalmente, non sono contro il revisionismo storico in quanto credo che in alcuni casi significhi avere una reale presa di coscienza e possa anche smontare delle versioni ufficiali della Storia scritta dai vincitori.

Penso però che il revisionismo è sempre bene accetto se confermato da fonti e/o fatti storici verificabili. E nel caso dei neo Borbonici, di fatti reali e verificati a loro vantaggio ne sussistono pochi, come quelli che ripoterò brevemente in questo articolo.

La realtà del Regno delle Due Sicilie in quel tempo non era poi così armoniosa come si vuole fare credere, considerando che i siciliani lamentavano il disagio del nuovo regno nato nel 1816 (che aveva sostituito il Regno di Sicilia) ed in più di un’occasione tentarono anche la rivolta, riuscendo nel 1848 a scacciare da Palermo il sovrano Ferdinando II.

Ferdinando II che per rappresaglia, nel settembre dello stesso anno, radeva al suolo Messina con la propria flotta da guerra, meritandosi l’appellativo di “Re Bomba”. 

Dopo la rivolta della Gancia nel Palermitano, repressa dalle truppe borboniche nel 1860, Garibaldi decise di partire da Quarto, per arrivare a Marsala ed al suo arrivo, in realtà trovò una popolazione che già stava lottando contro i suoi regnanti.

Nel liberarli l’Eroe dei Due Mondi ingrossò le sue fila e quando arrivò a Palermo, con i volontari siciliani, riuscì a contare svariate decine di migliaia di uomini sotto il suo comando. 

Altro aspetto è quello dei primati vantati dal Regno del Sud che però – bisogna anche dire – erano dovuti per la maggior parte grazie all’opera dei privati, come ad esempio i Florio per la prima flotta mercantile, o i Whitaker per l’industria enologa, insieme a Giuseppe Alliata, principe di Villafranca, duca di Salaparuta, che fondò nel 1824 la “Vini Corvo Duca di Salaparuta”, producendo, per primo, vini bianchi e rossi dai vitigni del feudo Corvo, ed imbottigliando “alla francese”, cioè non superando la gradazione di 12°.

Anche la prima società assicurativa fu fondata nel 1813 da un inglese, Abraham Gibbs, che però ebbe vita breve, a causa del suicidio del suo fondatore.

Tutto questo per dire che i primati per la maggiore erano dovuti al genio imprenditoriale dei privati e che il governo centrale fece ben poco o addirittura niente per potenziare, ad esempio, i trasporti o i servizi.

Infatti, nel meridione, le ferrovie erano totalmente assenti (tranne la tratta Napoli – Portici) ed in Sicilia, la prima infrastruttura nascerà solo nel 1863 con la tratta Palermo – Bagheria. 

Bisogna quindi ricordare che nel 1864 si assisterà alla prima ferrovia a Catania per avere poi un primo collegamento nazionale effettivo negli anni ’70 del 1800 solo grazie al nuovo Regno d’Italia.

Adesso seguiranno una serie di dati e numeri alquanto noiosi ma fondamentali per comprendere come il revisionismo neoborbonico sia una menzogna romanzata.

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La fonte di questi dati è l’Annuario Statistico Italiano del 1864.

Il primo Parlamento del Regno d’Italia aveva 443 deputati eletti con il cosiddetto “censo” e la novità è che l’ex Regno delle Due Sicilie aveva ben 192 deputati, costituendo il più grande gruppo parlamentare considerando che l’ex Regno di Sardegna poteva contare solo su 83 deputati. 

Ci troveremmo quindi davanti ad un “conquistatore” che concede ai conquistati (i colonizzati) il numero più grande di seggi dell’intera nazione dandogli così un forte potere decisionale: poco realistico.

Passiamo poi alla statistica postale, con poste e telegrafi che presentavano notevoli differenze nel 1861.

La corrispondenza al momento della riunificazione italiana registrava nel 1862 una media annua nazionale di 3,29 lettere e di 4,88 stampe per abitante, nel compartimento postale del Piemonte la media saliva a 6,09 lettere e 5,28 stampe per abitante, in Toscana ed Umbria 3,07 lettere e 1,26 stampe per abitante, media che scendeva ulteriormente nel compartimento di Napoli a 1,66 lettere e 0,69 stampe per abitante.

I dispacci telegrafici mostrano che il solo compartimento di Torino registrava introiti annuali per lire 747.882, Milano (esclusa Mantova non annessa) per lire 379.253, Bologna lire 230.340, Pisa lire 357.127, Cagliari lire 40.428, mentre i compartimenti dell’ex Regno delle Due Sicilie registravano introiti annuali per Napoli di lire 313.889, Foggia lire 130.405, Cosenza lire 45.700 e Palermo 230.701. In pratica il solo compartimento di Torino registrava per dispacci telegrafici un importo (lire 747.882) superiore a quello di tutto l’ex Regno delle Due Sicilie (lire 720.695).

Fattore non da poco è anche l’istruzione scolastica secondaria al momento dell’unificazione. 

L’insegnamento secondario nell’anno 1862-63 registrava un totale di 27.895 studenti con una netta prevalenza di iscritti negli istituti settentrionali, particolarmente nelle scuole tecniche.

I territori dell’ex Regno di Sardegna registravano il più alto numero di studenti con il 32,64% del totale degli iscritti a scuole secondarie in campo nazionale, mentre nei territori meridionali era iscritto il 14,22% degli studenti.

Nell’anno scolastico 1862-63 su 250 ginnasi con 16.281 studenti, l’ex Regno di Sardegna aveva 73 ginnasi con 4.881 studenti dei quali 13 in Sardegna con 674 studenti; la Lombardia aveva 33 ginnasi con 2.990 studenti, l’Emila 50 ginnasi con 2.649 studenti, la Toscana 23 ginnasi con 2.270 studenti, le Marche e l’Umbria 33 ginnasi con 744 studenti e le regioni dell’ex Regno delle Due Sicilie contavano 38 ginnasi con 2.747 studenti, dei quali 20 nel sud continentale con 1.493 studenti e 18 in Sicilia con 1.254 studenti. 

Su 87 licei con 3.948 studenti in campo nazionale, l’ex Regno di Sardegna aveva 18 licei con 1.031 scolari, dei quali 2 in Sardegna con 80 scolari, la Lombardia 13 con 997 scolari, l’Emilia 13 con 581 scolari, la Toscana 9 con 575 scolari, Marche e Umbria 10 con 225 scolari, l’ex Regno delle Due Sicilie aveva 24 licei con 539 scolari, dei quali 17 nel sud continentale con 372 scolari e 7 in Sicilia con 167 scolari.

Rilevante il fatto che l’ex Regno di Sardegna o la Lombardia avessero ciascuno circa il doppio di liceali rispetto all’ex Regno delle Due Sicilie e che Emilia e Toscana avessero singolarmente ciascuna più liceali dell’ex Regno delle Due Sicilie. Si deduce da questi dati che lo sviluppo della situazione scolastica al momento dell’unità d’Italia, dipendesse da quello fornito dagli ex regni preunitari e possiamo notare una certa mancanza da parte dei Borbone.

Ultima cosa, ma non meno importante, è l’attuazione immediata di lavori che il nuovo governo effettuò per fornire collegamenti ed opere pubbliche.

Con l’unificazione italiana nel periodo 1861-1862 vennero stanziati ingenti fondi statali per realizzare opere pubbliche nel nuovo Regno d’Italia: strade, ponti, porti, spiagge e fari.

Nel sud continentale vennero realizzate opere per lire 25.648.123, per la Sicilia lire 37.218.898 e per la Sardegna lire 23.293.121, mentre la spesa per la Lombardia fu di lire 8.267.282 e per la Toscana lire 7.271.844, anche perché tali territori erano già provvisti di opere pubbliche realizzate durante i precedenti stati preunitari.

Negli anni successivi all’unificazione vennero anche stanziati notevoli fondi statali per costruire 1.768 km di binari ferroviari, portando la rete ferroviaria meridionale da soli 128 km a 1.896 km di binari.

Questi sono solo alcuni dei dati.

Per concludere, come si è visto, il Regno d’Italia si è attuato subito per portare una condizione paritetica in tutto il territorio nazionale.

Oggi dovremmo pensare che i problemi del meridione attuali, sono dovuti possibilmente alla cattiva gestione dei governanti regionali, anch’essi meridionali.

La Sicilia da Cuffaro a Crocetta ha vantato indagini, illeciti, arresti, condanne mentre i servizi e le infrastrutture colavano a picco.

Non possiamo dare di certo la colpa di tutto questo a Garibaldi.

di Vittorio Emanuele Miranda – EmmeReports

Tags: italiaNeo BorboniRegno delle Due SiciliestatisticastoriaUnità d'Italia

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