Nella pittura di Elio Corrao si resta in equilibrio fra un vissuto, raccontato parlando con naturalezza tutti i linguaggi delle avanguardie europee, e un prodotto, il quadro dipinto, che è un astratto ancorato alla realtà. In ogni opera possiamo leggere la vita quotidiana senza doverle dare un particolare significato simbolico, semplicemente la vita ci accompagna e noi la riconosciamo nel ripetersi dei gesti, negli ambienti, negli scorci e nelle vedute ritagliate da tendaggi e dal limite fisico di una finestra.
Anche l’opera di copertina ha per titolo “Composizione” eppure ognuno vi può vedere un angolo di cucina, verdure o frutta poggiati su di un piano, pronti per essere mondati, esposti, cucinati, piluccati. La struttura è rigorosa, geometrica equilibrata; luce e ombra sono giustapposti, si condensano e diventano materia. Sono allo stesso tempo narrazione e piacere astratto da osservare.
L’uso dei colori da parte di Corrao va oltre la rappresentazione, ha un significato emozionale che leggiamo direttamente nelle sue parole: “La vita è colore di mille toni e sfumature, che vanno dai toni accesi della nostra ira a quelli tenui della riflessione, a quelli caldi delle passioni, a quelli freddi dell’indifferenza, al grande caleidoscopio dell’avventura della vita stessa”.
Elio Corrao, come abbiamo visto nell’articolo sui Paesaggi, è figlio della Palermo ordinata, orgogliosa e bella di inizio Novecento, sia per le parentele che per gli ambienti vissuti. La natura è un riquadro di foglie illuminate e di rami ombrosi, forse è il ricordo di una delle Ville a ornamento della città oppure l’albero maestoso che vive nel giardino interno cercando luce e altezza fra i muri delle case. Ha il tocco lieve dell’impressionismo, la freschezza di una pittura colta dal vero ma sempre osservata dal silenzio protettivo di un appartamento in cui sono passate diverse generazioni. Per questa consuetudine di frequentazioni silenziose, che solo una casa di famiglia può dare, il vegetale porta con sé ricordi e sembra farli propri; non stupisce che al suo tronco possente si possa associare un volto, uno sguardo che appare improvviso tra le foglie. Quanti ricordi, spesso si dice, entrando nella camera dei genitori o dei nonni se si torna da lontano; quanti ricordi sembrano invece dire queste composizioni, frutto di una vita più riflessiva che avventurosa.

La natura, in questa parte di città fatta di strade ortogonali, di parchi e di case sontuose, entra bussando piano; non irrompe. Può essere una finestra, come abbiamo visto, il frutto della terra e di stagione poggiato sui marmi di cucina o la sorpresa guizzante e colorata che andrà ad allietare con pochi palpiti di vita i lunghi pomeriggi nella stanza di un bambino: due pesci rossi, in un sacchetto trasparente, lasciati per un attimo ancora in questa floscia prigione, illuminata da luce radente. Plastica come vetri luccicanti delle bottiglie di un bistrot, squame dorate svelate come corpi dietro svolazzi di chiffon, fronde battute dal vento che evocano campagne e parchi di nobili dimore, uva e peperoni resi quasi solo per volumi e giochi d’ombre. Ogni pennellata in questi quadri racconta e allude, ci porta a ricerche pittoriche transalpine, ha un respiro europeo e allo stesso tempo intimo e raccolto.

Anche quando i colori s’accendono e la scena si apre in un ventaglio di tratti neri con un contrasto prorompente di luce, ed è quasi una vetrata laica, continuano a riconoscersi la molle fragilità delle foglie e dietro d’improvviso un corpo di donna. Segnato nei tratti più arcaici e riconoscibili, la curva dei fianchi, l’esilità delle caviglie, lo scatto leggero della femminilità raccolta in una forma di danza. Più ci si addentra in questo tempio di ricordi che è la casa, più ci si avvicina a un focolare fatto di carne e di seduzione. Nascosto agli occhi del mondo, svelato da un riflesso di specchi dove anche la natura è sublimata nella narrazione dell’arte, dove i fiori non vengono dal giardino ma sono colti nelle maioliche dei pavimenti e dalle porcellane dei servizi gelosamente tramandati. La donna che si scopre è quella più antica, femminile, sensuale, fuori dalla vezzosa socialità ma ricondotta a dea, a potenza generatrice.

La pittura di Elio Corrao, dalla pennellata apparentemente scabra e opaca, raccoglie un intero secolo di riflessioni sull’arte, dipinti che solo occhi consapevoli possono leggere facilmente in tutta la sua profondità.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports