“Sono Bambina, Non Una Sposa” è la Campagna Sociale di cui è Advocacy Giorgia Butera, uscita ufficialmente lunedì 22 Settembre 2014, è stata anticipata dal giornale di Onu Italia nella giornata di domenica 21 Settembre. In quei momenti (2014) la cronaca mondiale ci raccontava la tragica morte della piccola Rawan, bambina yemenita morta ad 8 anni e mezzo per le lesioni subite dopo la “prima notte di nozze” con il marito 42enne.
L’Italia è dalla parte delle spose bambine: vittime di una violazione dei diritti umani che ne limita l’istruzione delle giovanissime donne e provoca danni alla loro salute fisica e emotiva. Molto spesso l’età per essere date in spose coincide con l’arrivo del primo ciclo mestruale, ciò vuol dire che si è considerate già donne in grado di essere date in spose e procreare. Per fortuna, negli ultimi è avvenuta una consapevolezza maggiore a livello internazionale, l’età si è innalzata, ma il fenomeno è ancora esistente, aggravato soprattutto dalla Pandemia.
Il rapporto ”COVID-19: A threat to progress against child marriage” – lanciato nella Giornata Internazionale della Donna dall’Unicef – ha ricordato che la chiusura delle scuole, lo stress economico, l’interruzione dei servizi, gravidanza e morte di genitori a causa della pandemia stanno esponendo maggiormente le ragazze più vulnerabili al rischio di matrimonio precoce.
Nel 2019 Giorgia Butera, Presidente Mete Onlus, e Presidente della Comunità Internazionale “Sono Bambina, Non Una Sposa” è stata invitata in Commissione Giustizia e Commissione Diritti Umani al Senato della Repubblica. La Butera è stata audita per riferire sul fenomeno delle spose bambine, e dei matrimoni forzati in Italia. L’obietto rimane quello di contrastare il fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, introducendo reati ad hoc nel codice penale.
“La ragione è da individuare in radici profonde dovute agli squilibri di potere tra donne e uomini, in stereotipi e leggi che rispecchiano l’idea che la donna debba ricoprire un ruolo sociale e familiare subalterno, regolato da modelli patriarcali, sul consenso al controllo sociale sul corpo e sulle scelte sessuali delle donne” afferma Giorgia Butera che ricorda come Mete Onlus, sin dalla propria costituzione ha ricevuto richieste d’aiuto in relazione alla opera permanente di sensibilizzazione ed attività di Advocacy.
“Negli ultimi tempi una buona notizia è arrivata, una giovane ragazza costretta al matrimonio forzato è riuscita a ribellarsi, tre le fasi: la costrizione, l’aiuto e la liberazione. Ma adesso, sembra calato il silenzio” continua la presidente di Mete Onlus.
“Sono Bambina, Non Una Sposa” include nella sua ideologia ed azioni di contrasto, tutto ciò che concerne: abusi sui minori, schiavitù sessuale, tratta in età adolescenziale, abusi derivanti da viaggi ad hoc, squilibrio di genere, diritto all’istruzione, diritto all’alfabetizzazione sociale, gravidanze precoci.
Attività utili al confronto ed alla diffusione della conoscenza: incontri con le comunità straniere, incontri nelle scuole con una buona presenza multietnica, presenza all’estero (attraverso anche lavori informativi/formativi), ricerca sociale, assistenza psicologica, arti varie e pubbliche manifestazioni.
“La forza di questa Comunità risiede nella sua visibilità, nella azione costante di pubblicazione online e di svolgere pubblici incontri. Tutto questo produce l’effetto da parte delle ragazze (o chi per loro) di contattarci per chiedere aiuto” afferma Giorgia Butera ricordando che gli obiettivi previsti dall’Onu per l’Agenda 2030 sono tanti ed importanti.
La disumanità delle spose bambine e dei matrimoni forzati non potrà essere abolita definitivamente sino a quando l’umanità sarà determinata da una cultura patriarcale e la presidente di Mete Onlus afferma che: “intendiamo partecipare attivamente alla sfida globale posta dalla Agenda 2030 delle Nazioni Unite rispondendo nel costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani”.
L’attuazione dell’Agenda 2030 richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e cultura.
“Il fenomeno ci appartiene in quanto accogliamo migrazione forzata, e soprattutto la radicalizzazione delle comunità straniere giunte alla terza generazione. Nonostante la quasi totale inclusione ed integrazione permangono in loro paradigmi culturali difficili da sradicare. Il nostro dovere da attivisti e professionisti impegnati nell’alto tema dei diritti umani internazionali è quello di contribuire a rendere il mondo migliore” conclude Giorgia Butera.
di Redazione – EmmeReports