La funzione di una Galleria d’arte contemporanea, soprattutto quando si evolve in Associazione culturale, è quella di accompagnarci in un nuovo mondo sensoriale, che ci parla del presente usando spesso parole del passato ma sistematicamente guarda al futuro senza farsi condizionare dalle oscillazioni di mercato. “Aspettando domani” che diventa un’antologica sugli artisti seguiti dalla Galleria nella sua quarantennale attività è un evento capace di regalare uno sguardo sui linguaggi dell’arte a cavallo fra secondo e terzo millennio.

Quando si parla di arte è fin troppo facile evocare opere e stili del nostro passato, che ognuno crede di conoscere solo perché è abituato a vederle oppure per via della necessità, nelle passate generazioni, di dover raffigurare mancando strumenti adatti a conservare la memoria delle persone, dei luoghi e delle cose. Non per questo tutto ciò che è stato rappresentato rientra obbligatoriamente nella sfera dell’arte: molto fu fatto per ragioni pratiche e ci porterebbe a dover considerare degno di attenzione anche qualsiasi scatto dei nostri telefonini, le immagini che fluiscono in rete, in televisione, sulla stampa e nella cronaca. È altrettanto facile trincerarsi dietro un giudizio che nega all’arte contemporanea un interesse proprio perché non rappresenta o non lo fa secondo, a detta dei più, secondo quella tecnica e maestria che abitualmente vediamo nei musei.

“Aspettando domani” ci permette invece di guardare oltre questi luoghi comuni, assaporando un figurativo che non è necessità ma scelta, fotografia che non è cronaca ma strumento per creare, colore luce e volume valorizzati per emozionare sollecitando la nostra mente senza il bisogno di raccontare; ci presenta anche forme conosciute ma usate per esprimere altro, diventando segni di un linguaggio nuovo. E’ come una lezione, fatta in silenzio e filtrata dall’esperienza del curatore Francesco Marcello Scorsone, che per anni ha stimolato e dialogato con i propri artisti, aiutando ognuno a liberarsi dai canoni di altri tempi e differenti epoche, per trovare una strada individuale con cui raccontare la propria, personalissima, esperienza del mondo. Da questa molteplicità di voci, di sensibilità e di ideali abbiamo scelto alcune opere per mostrare quanto diversi siano i linguaggi e quanto ognuno ci parli direttamente. Questo ci evidenzia quanto l’arte non sia cronaca, catalogazione o necessità di tramandare, bensì sguardo di individui e quindi di culture che svelano nuove e più profonde chiavi di lettura.
Esistono spazi puramente mentali, percezioni che partono dal reale ma appaiono molto più vivide ad occhi chiusi ed entrano a far parte delle immagini interiori, dei mondi intimi e quasi segreti in cui cercare rifugio dalla confusione della vita: “Paesaggio” del palermitano Elio Corrao è sicuramente una di queste visioni introspettive, dove i colori descrivono la natura ma parlano di ricordi e lo spazio non è quello della visione ma rappresenta le carezze e i graffi del vissuto. Allo stesso modo “Palatable” di Franco Mulas riflette le emozioni dell’artista romano, la consonanza della sua sensibilità con un momento naturale, fatto di acqua, luce, riflessi, e forse onde.
Talvolta, invece, quel che di concreto resta nella pittura è l’intuizione dell’artista che la realtà pur venendo vissuta non ci appartiene. I frammenti tattili, i muschi, le cortecce, i tessuti, le voci della gente, tutto quanto ci sfiora nell’esperienza, può improvvisamente trasformarsi in qualcosa di superiore, nascosto e quasi sacro: la comprensione individuale, la trasformazione di un dato materico in una pulsione ritmica o dinamica o in un equilibrio di segni astratti. Possiamo in questo modo leggere “Passione numero 3” di Antonella Affronti, “Composizione 3/95” di Franco Russo, “Orizzonte sulla forma” di Salvatore Provino.
Al contrario l’opera d’arte può spingerci verso la realtà perché l’autore porta sulla tela una chiave di lettura, una propria filosofia capace di rileggere l’esperienza della vita e della storia secondo nuovi e specifici valori: “Cala dei corsari” di Enzo Togo, dove la geometria elementare segno marcato dell’uomo si perde e si bilancia in una miriade di luci, di campagne coltivate, di baie nascoste, di ventosi silenzi mediterranei. Questa interpretazione vale per “Maternità” di Renato Guttuso, che porta il sacro dell’amore divino nella ruvida compostezza della dignità più ordinaria; “Sogno americano” di Alessandro Bronzini in cui la visione storica è teatro tragico, memore delle sue esperienze con il drammaturgo monteleprino Franco Scaldati.
Differente ricerca invece è quella che parte da una funzione per tutti scontata mentre l’artista la usa come materiale grezzo aperto a nuove dimensioni: Maria Pia Lo Verso in “Gioco di luci” dove l’immagine fotografica diventa segno e pigmento; “Piccolo acquario” di Giusto Sucato che snatura elementi semplici donandogli una risonanza aulica e allusivamente simbolica; “Palinuro” di Tiziana Viola-Massa in cui il corpo si presenta senza raccontare, portando l’osservatore ad interrogarsi sul vero significato di questa misteriosa presenza.
L’arte ci accomuna in una rilettura del vissuto, ci spinge a riconsiderare la realtà, ci affascina lasciando intuire significati che ancora sfuggono, l’arte parla un linguaggio che noi cominciamo semplicemente a balbettare: per questo “Aspettando domani” diventa una lezione di vita e ci avvicina al futuro.
di Massimiliano reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito
“Aspettando domani”
La mostra è visitabile fino al mese di giugno 2021
da lunedì a venerdì dalle 16,30 alle 19,30 – sabato e festivi chiuso
Palermo, Galleria d’arte Studio 71, Via Vincenzo Fuxa n.9