Lo conoscono bene il Panjshir i talebani. Sanno bene quanto è difficile muoversi e combattere nelle montagne della valle inespugnabile a nord-est di Kabul. Lo sanno, perché la storia recente degli stessi talebani li ha visti già perderci la faccia e centinaia di uomini dal 1996 al 2001 quando presero il potere in Afghanistan, ma non le Panjshir.
Dal 15 agosto scorso in questa valle si continua a combattere. Il suono dei fucili mitragliatori si amplifica nelle gole del fiume Anjumar. Anche le informazioni diramate dal portavoce dei talebani, Bilal Karimi, sono rumorose e contrastanti.
“I distretti di Khinj e Unabah sono stati presi, dando alle forze talebane il controllo di quattro dei sette distretti della provincia” ha riferito Bilal Karimi. In realtà il giorno prima, con grandi festeggiamenti a colpi di Kalashnikov, per le strade di Kabul, gli stessi talebani avevano annunciato di aver espugnato la valle. Contemporaneamente il fronte della resistenza, che raggruppa le forze fedeli al leader locale Ahmad Massoud, ha affermato di aver circondato “migliaia di talebani” al passo di Khawak e che i talebani hanno abbandonato veicoli e attrezzature nell’area di Dashte Rewak.
Ed è questa la verità sul campo. Il Panjshir è inespugnabile. Lo è non solo per le difficoltà geomorfologiche del territorio, lo è soprattutto perché qui vi abitano da secoli un crogiolo di etnie diverse. Nei sette distretti in cui è suddivisa la provincia ci sono oltre 500 villaggi a prevalenza etnica tagiki.
Qui, l’aria che si respira, ha l’essenza dell’adorazione verso Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, il Leone del Panjshir assassinato dai talebani, poco prima dell’11 settembre del 2001. Oggi Ahmad Massoud non è solo quel combattente che negli anni ’90 è stato in grado di resistere all’assalto dei talebani. Oggi è un uomo di potere e strategia politica. Un leader consolidato e riconosciuto. Non gli è stato difficile, infatti, mettere su in poco tempo il National Resistance Front (NFR), composto da milizie ed ex membri delle forze di sicurezze afghane, oltre che dai suoi fedelissimi pronti a resistere fino alla morte.
Una resistenza armata ben organizzata ed addestrata a cui è aggiunto anche l’ex vicepresidente Amrullah Saleh. “Abbiamo le armi di chi si è unito a noi e dei soldati dell’esercito che non si sono arresi” aveva riferito già qualche settimana fa Ahmad Massoud che si muove, da buon stratega sui due fronti. Quello militare resistendo e combattendo nella Valle e quello politico provando a consolidare la sua figura di leader anche negli altri distretti, a partire da quello di Herat. Non per caso in un post su Facebook, Massoud ha insistito sul fatto che il Panjshir “continua a resistere con forza” ma contestualmente ha lodato ed incitato “le nostre onorevoli sorelle”, così le ha definite, rivolgendosi alle donne scese in strada per manifestare ad Herat chiedendo il rispetto dei loro diritti ma soprattutto, come ha scritto Massoud: “La resistenza del Panjshir, che è rimasta ferma fino ad ora, o la resistenza delle nostre zelanti sorelle a Herat che hanno alzato la voce per i loro diritti, dimostra che il popolo non ha rinunciato alle sue legittime richieste e non rinuncerà alla sua legittima resistenza e non abbiate paura di eventuali minacce”.
Il carisma di Ahmad Massoud deriva senza dubbio dalla memoria storica impressa nella mente di nemici e sostenitori del padre Ahmad Shah Massoud. C’è tanto mito ed anche leggenda nella storia del “Leone del Panjshir”. In realtà il nome della Valle, tradotto letteralmente dall’afghano, significa “cinque leoni.” La verità è che il Panjshir è un grande fiume, tra i principali affluenti del fiume Kabul. La Valle già nella guerra contro il regime comunista nel 1975, e poi durante il decennio di occupazione e guerra contro l’invasore sovietico ebbe importanza strategica. Era il punto di transito obbligato per i russi da e per Kabul. Fu qui che si consumarono i più feroci combattimenti e fu qui che le truppe sovietiche contarono le peggiori sconfitte sul campo con migliaia di soldati russi periti in combattimento.
Ricordare al mondo ed ai talebani questa storia per Ahmad Massoud è fondamentale per alimentare il mito della resistenza che sul Passo Salang, o “gola di Kabul” controlla l’unica strada da Hairatan a Kabul, percorso chiave per i sovietici allora, percorso obbligato per i talebani oggi. Si combatte e si combatterà ancora. Intanto a perdere la vita è stato Fahim Dashti, scrittore, poeta e portavoce della resistenza del Panjshir, ucciso in combattimenti dai talebani.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports