Il 101° Gruppo dell’Aeronautica Militare utilizzava l’aeroporto di Brindisi come base di rischieramento invernale per mantenere un costante addestramento al tiro al poligono che, nelle nebbiose giornate invernali, sarebbe stato impossibile effettuare da Cervia. Da Brindisi l’attività di tiro si effettuava nel vicino Poligono della Contessa. Quell’anno il trasferimento dei velivoli del 101° Gruppo avvenne però a fine aprile e si estese per tutto il mese di maggio per lavori alla pista di Cervia. Tutti ne fummo felici, confidando in un regolare rientro a Cervia a fine “campagna tiri”, senza il timore della persistente nebbia in atterraggio che, in pieno inverno, rendeva sempre incerto il giorno del rientro. Oltre alle otto sortite che ogni giorno si programmavano sul poligono, l’attività di volo prevedeva l’esecuzione di basse quote ricognitive e attività di aerocooperazione con la Marina Militare, denominate COM.
Quella mattina ero il numero uno di una coppia di velivoli che aveva il compito di attaccare una nave della nostra Marina Militare al largo del mar Ionio. Come era consuetudine nelle COM condotte dalla base dell’Aeronautica Militare di Cervia, la missione prevedeva l’assoluto silenzio radio dal decollo fino al target per non compromettere la sorpresa dell’attacco. Pertanto nella pianificazione evitammo di attraversare aree in cui erano d’obbligo le comunicazioni con gli enti del controllo del traffico aereo […]. Negli attacchi alle navi nel Mar Tirreno, per nascondere la nostra presenza volavamo bassissimi e sfruttavamo anche le tante piccole isole presenti che interponevamo tra noi e la posizione della nave da attaccare. Nel Mar Ionio però non vi sono isole e pertanto l’unica possibilità per non essere visti o inquadrati dai radar era volare ancor più bassi del solito. La quota minima sarebbe stata in funzione dell’orografia del terreno, della visibilità sul mare, ma innanzi tutto dell’esperienza e qualifiche possedute da chi le compiva. Quel giorno eravamo entrambi Full Combat Readiness da più di due anni e potevamo scendere ancor più bassi. Terminata la pianificazione e il briefing pre-missione ci recammo in linea volo. Era ormai l’ora di pranzo e in quel momento era veramente magnifico vedere la fila degli aerei dell’Aeronautica Militare allineati perché, oltre ad una dozzina di Yankee del 101, ce n’erano altrettanti del 13° Gruppo.
Dopo i minuziosi controlli esterni salimmo a bordo dei nostri due jet e mettemmo in moto. Tutto si svolse con regolarità e l’ultima comunicazione radio fu con la Torre di Controllo, appena dopo aver staccato le ruote dalla pista, che ci comunicò l’orario di decollo. Come concordato nel briefing accelerai a 250 nodi e, una volta che il due ricongiunse in posizione tattica, accelerai a 0.6 di Mach, pari a 400 nodi (740 km/h). Eravamo decollati con pista in uso 3-2 e, mantenendo 500 piedi (150 metri), avevo virato a sinistra per prua 215° verso la periferia ovest di Mesagne costeggiando, a destra, l’inconfondibile tratto della via Appia Antica, che corre parallela alla ferrovia. Raggiungemmo Mesagne in meno di due minuti. La città era anche il punto di riporto per eventuali missioni dirette o in rientro dal poligono di Punta della Contessa, ma le formazioni volavano rispettivamente a 2.000 e 3.500 piedi pertanto, mantenendo 500 piedi non vi era conflitto di traffico.
Dirigemmo poi verso la stazione ferroviaria di Manduria incrementando la prua di appena tre gradi. Volando sulla Puglia, la sensazione generale per noi piloti del 101 dell’Aeronautica Militare era di navigare in condizioni estremamente favorevoli per la straordinaria visibilità che riscontravamo in ogni volo. La stessa impressione l’avevamo anche quando, da Cervia, attraversando gli Appennini, sorvolavamo la Toscana: tutto diventava molto più facile da individuare e riconoscere e la condotta della bassa quota diventava un vero piacere. Sorvolando piantagioni di viti e oliveti, allo scoccare del terzo minuto sorvolammo la stazione di Manduria. Feci scattare il contasecondi e mantenendo la stessa prua dirigemmo verso Torre dell’Ovo, sulla costa ionica. Ruotai la manopola di controllo del radaraltimetro e predisposi l’indice di avviso bassa quota a 100 piedi (33 metri).
Passammo sul rilievo più alto di tutte le Murge tarantine: monte Bagnolo, alto appena 415 piedi (125 metri). Controllai che l’indicatore LOW del radaraltimetro, posto sulla parte superiore destra dello strumento, si accendesse. Sorvolando radenti la cima, la spia LOW si accese e la differenza segnalata dal radaraltimetro era quella giusta. Giunti a Torre dell’Ovo virai a sinistra per 165° e feci ripartire il contasecondi. Nel contempo azzerai l’impianto di navigazione PHI, in modo da avere sempre un riferimento di distanza e direzione dal punto di rilascio costa. La visibilità si era mantenuta ottima e la linea dell’orizzonte era netta. Ruotai il nottolino zigrinato del collimatore per far coincidere la linea di mira, ottenuta attraverso la croce del reticolo luminoso, con la linea dell’orizzonte sul mare. Avendo una sensazione di caldo in cabina, ruotai in diminuzione anche il reostato che regola la temperatura dell’abitacolo, situato sul pannello laterale destro. Ora dovevamo solo aspettare che il tempo scorresse prima di raggiungere l’ultima posizione della nave che ci era stata segnalata.
La nave era la fregata Sagittario, la seconda di quattro unità della classe Lupo. Fregate da oltre 2.000 tonnellate, potentemente armate che, come difesa contraerea, disponevano di un sistema missilistico a otto celle Sea Sparrow, di un cannone da 127/54 mm e di due sistemi antimissili DARDO con torrette binate da 40/70 che, all’occorrenza, potevano essere utilizzati nella breve distanza per la protezione antiaerea. Noi simulavamo lo sgancio di due MK 82 frenate, che ci avrebbero consentito di allontanarci in sicurezza, senza finire nell’inviluppo di frammentazione a seguito dell’esplosione. Le MK 82 frenate ci consentivano anche un attacco diretto a bassa quota, livellati, senza necessità di un “pull up”, che ci avrebbe esposti al tiro antiaereo per più tempo. Dai primi anni ‘80 solo i TORNADO disponevano di missili anti-nave e potevano sganciare tale armamento ad una distanza di sicurezza. Invece G 91 ed F-104 dovevano sempre sorvolare gli obiettivi e l’unica possibilità di sopravvivenza consisteva nella sorpresa, cioè giungere sul bersaglio senza essere scoperti nella fase di avvicinamento.
Erano trascorsi circa quindici minuti da quando avevamo lasciato la costa che sentii di nuovo salire il caldo in cabina. Controllai il reostato e in effetti era correttamente posizionato perché affluisse solo aria fredda. Era molto strano, pensai, ma in quell’istante scorsi la sagoma ancora indefinita di una nave, proprio di fronte a noi. Mi abbassai di qualche decina di piedi come previsto nel briefing. Anche l’orario del “Time On Target”, coincideva con quanto pianificato. Controllai il numero due: anche lui era sceso di quota e si era leggermente allontanato dal mio velivolo. Non distoglievo gli occhi da quella sagoma i cui contorni rivelavano essere sempre più un battello militare. Mi venne in mente quando, in un attacco simile nel mar Tirreno, sorvolai radente una nave militare e vidi sventolare in cima al pennone più alto la bandiera rossa. Nel dubbio di chi avessi sorvolato, rovesciai lo Yankee e vidi che al centro della bandiera c’era la mezzaluna bianca: quella volta era una nave turca e non sovietica! Ora invece navi turche o sovietiche non erano state riportate in quell’area e i contorni della nave davanti alla mia prua rivelavano sempre di più appartenere alla fregata Sagittario.
In quell’istante il numero due, dalla posizione avanzata a sinistra, virò velocemente verso di me ed io, a mia volta, virai verso di lui incrociandolo davanti. Dopo l’incrocio delle nostre traiettorie riprendemmo ad avvicinarci bassissimi alla nave. Ora si distingueva nettamente un cannone in prora, una struttura di comando e un fumaiolo al centro, un hangar e un elicottero a poppa. Il numero due, dalla posizione avanzata a destra, virò di nuovo velocemente verso di me ed io, a mia volta, virai verso di lui. Le nostre traiettorie si incrociarono nuovamente. Era la tecnica che utilizzavamo al 101° nell’ultima tratta dell’attacco in coppia, pochi secondi prima del sorvolo, perché se i radar della nave si agganciavano ad uno di noi o ad entrambi, spesso si sganciavano nell’attimo dell’incrocio. Lessi sulla fiancata della nave il numero identificativo scritto in rosso: F 565. Era lei, la Sagittario! Un istante dopo la sorvolai, premendo con il mignolo l’attivazione della macchina fotografica verticale. Ora potevamo anche parlare e subito la chiamai sulla frequenza prevista dall’ordine di missione. “Foxtrot Sierra da Alfa 5-2-0 sulla vostra verticale. Time on target 1-6. Lasciando l’area, l’Alfa 5-2-0 rientra alla base”. “Copiato A 5-2-0, time on target 1-6. Buon rientro”.
Il carburante era sufficiente per effettuare altri attacchi, ma il caldo in cabina ora era tale che non me la sentii di prolungare la permanenza sulla nave. Portai su OPEN la piccola leva della ventilazione, posta alla mia destra, che apriva una fessura sulla fiancata esterna destra: l’aria che affluiva era fresca e la temperatura in cabina tornò ad abbassarsi un po’. Comunicai il problema al numero due sulla frequenza di Gruppo e decisi di mantenere 0.6 di Mach per anticipare il rientro presso la base dell’Aeronautica Militare di Brindisi. Salii a 3.000 piedi e, per accorciare la rotta del rientro, tracciai sulla cartina una linea che andava da quella posizione a Brindisi. Estrassi dal cosciale il goniometro per calcolare il nuovo valore di prua da assumere. Ricontrollai il reostato che regolava la temperatura nell’abitacolo e gli altri sistemi di bordo che comandavano pressurizzazione e ventilazione. Avvicinai la mano alle quattro bocchette in cui affluiva l’aria: scottavano. Era un’emergenza assurda, non riportata nella check list delle emergenze, né vi erano spie di surriscaldamento motori o altro accese. Fumo e fiamme neppure. Intanto però si era fatto ancora più caldo e anche l’aria fresca che perveniva dall’apertura della presa della ventilazione esterna non riusciva a compensare il calore che arrivava in cabina.
A differenza delle auto non c’era modo di chiudere le bocchette dell’afflusso dell’aria in cabina e anche girando il reostato al contrario usciva sempre aria bollente. Comunicai al numero due l’intenzione di accelerare a 450 nodi (840 km/h) e così feci. Passammo a 5 miglia a ovest di Porto Cesareo e in meno di due minuti sorvolammo San Pancrazio. Chiamai direttamente la Torre di Brindisi e dichiarai emergenza chiedendo di riportare per un finale diretto pista 3-2. Eravamo velocissimi ma ciononostante ogni minuto sembrava interminabile, il caldo ora era insopportabile e sudavo copiosamente. Selezionai l’erogazione dell’ossigeno al 100% per abbassare la temperatura della maschera che, realizzata in gomma, aveva iniziato a scottare. In quattro minuti arrivai in vista della pista, ridussi motore, estrassi l’aerofreno ed appena la velocità lo permise, lo feci rientrare. Abbassai il carrello, i flap e accesi il faro di atterraggio. La Torre mi autorizzò all’atterraggio. Selezionai l’erogazione in maschera dell’ossigeno nella posizione “Emergency” così da avere un’erogazione continua di ossigeno puro.
Il sudore mi colava lungo il viso e portai la mano sulla maniglia per l’espulsione del tettuccio: se avessi avuto la sensazione di perdere i sensi l’avrei tirata senza esitazioni. Toccai la pista, estrassi l’aerofreno, iniziai a frenare e quando fui quasi fermo sollevai il tettuccio. Il caldo infernale svanì all’istante e respirai aria fresca. Dichiarai per radio la fine dell’emergenza. Arrivato al parcheggio scesi dall’aereo con la tuta completamente bagnata di sudore. La plastica trasparente delle pagine del cosciale si era rattrappita e anche la vernice del mio casco si era in parte staccata… Andai al bar della linea volo e mi scolai una bottiglia di acqua: ora sì che l’emergenza era finita! Dal controllo che venne fatto alle tubazioni di areazione dell’aereo si scoprì che in volo si era progressivamente rotto lo scambiatore di calore in cabina e affluiva aria calda direttamente dall’8° stadio del compressore di entrambi i turbogetti!
Tratto da “OGGI SI VOLA!” di www.flaviobabini.com oppure su Ebay.
Di Flavio Babini (Maggiore Pilota AM) – EmmeReports