Abbiamo posto tre domande sulla Festa della Donna all’atleta e militante Verdiana Mineo, all’onorevole Maria Carolina Varchi e alla consigliera ed insegnante Barbara Evola.
Per il resto dell’anno femminicidi, discriminazioni sul lavoro, marginalizzazione e subordinazione all’uomo. Ha ancora senso festeggiare la donna l’8 marzo?
Verdiana – Innanzitutto, per me l’otto marzo non è una festa, in cui comprare fiori e dolci e scambiarsi gli auguri, o organizzare serate danzanti per celebrare l’essere donna. Credo che ciò a cui assistiamo oggi nei paesi capitalistici sia una forte mistificazione culturale di quella che è nata come una giornata di lotta, e che si è trasformata in una festa e occasione di consumo. Il complesso di valori, aspirazioni, desideri e significati che nella nostra cultura identifica i ruoli di genere, relega ancora la donna in una posizione di forte subordinazione, in tutti gli ambiti: sul lavoro, in famiglia, nei media e nella comunicazione in generale, nello sport. Tutto questo ha delle conseguenze precise, che si concretizzano nel susseguirsi di episodi di violenza sulle donne, discriminazioni, fino ad arrivare al femminicidio.
Maria Carolina – Io non l’ho mai festeggiato e anzi, nel corso degli anni ho organizzato diverse manifestazioni per denunciare l’ipocrisia di questa festa, diventata l’apologia del consumismo più sfrenato e della banalizzazione della donna che diventa quasi un oggetto, un target commerciale su cui puntare in quel giorno. Noi molto più semplicemente proponiamo che vi siano delle misure in Italia, che permettano ad una donna di non dover faticare il doppio per ottenere gli stessi risultati di un uomo. Le statistiche dicono che una donna, anche a livello apicale, ha uno stipendio di gran lunga inferiore rispetto ad un omologo di sesso maschile. Noi crediamo che questo non sia tollerabile in un Paese civile, sopratutto se si considerano le ragioni che ho esposto prima, dove il peso della famiglia viene in gran parte riversato sulla donna.
Barbara – Il termine festa credo che sia assolutamente inappropriato e inopportuno. Per me è un giorno della memoria e diventa fondamentale come aiuto a ricordare da dove siamo partite. L’8 marzo purtroppo è stato svilito dal mercato e tocca a noi società civile restituirne il giusto significato. Siamo in una società nella quale i grandi obiettivi raggiunti non sono ancora sufficienti per poter dire che la diversità di genere è pienamente affermata.
Sindaco/a, assessore/a, ministro/a sono gli esempi di uno scontro per l’emancipazione anche nel lessico: giusta battaglia o inutile posizione femminista?
Verdiana – Il linguaggio è un sistema di convenzioni che descrive la realtà e in qualche modo è lo specchio della società in cui viviamo. La comunicazione ha una grandissima importanza nel costruire la soggettività: i media e internet veicolano immediatamente dei messaggi e dei contenuti che servono a descrivere quelli che sono dei modelli sociali precisi. Sicuramente non basta modificare il linguaggio per cambiare la società e la cultura. In una fase storica come questa, in cui in tutti gli ambiti vigono ancora dei forti stereotipi di genere, cambiare il linguaggio non significa però eliminare la causa profonda delle discriminazioni.
Maria Carolina – E’ una inutile posizione vetero femminista che tra l’altro fa strame della nostra lingua, una delle più belle al mondo. Io mi sono sempre opposta all’utilizzo di questa “a” finale in termini che in realtà sono già perfettamente consoni all’uso. Il problema è ancora una volta, il fatto di evitare di affrontare i veri problemi con argomentazioni di facciata.
Barbara – Comprendendo il fatto che siamo abituati a regole grammaticali di un certo tipo, non mi impicco se un mio alunno scrive “assessore” riferendosi ad una donna. E’ chiaro però che quella del linguaggio non è una battaglia surrettizia, le parole servono a identificare cose e significati, hanno dietro un modello culturale. Ed è quindi corretto costruire anche attraverso le parole quel percorso di accettazione della diversità di genere. Il linguaggio decodifica e crea immagini: è importante aprirsi ad un universo diverso, altrimenti rischiamo l’appiattimento e la donna verrà sempre vista come l’Eva creata dalla costola di Adamo.
Qual è per lei una donna “simbolo” in campo politico, sociale, storico a cui ispirarsi?
Verdiana – Non ho una donna “simbolo” che posso scegliere, credo sarebbe limitativo. Ho però un modello di donna, che è quello che incarna forza, determinazione, coraggio. Un modello opposto alla donna debole, che necessita protezione, che deve stare “un passo indietro” all’uomo. Credo che tutto debba partire da un processo di liberazione delle donne da questo schema di dipendenza e subordinazione, ed è questo che sento la necessità di affermare nel mio percorso di vita, nella mia esperienza sportiva e lavorativa, nel contesto che vivo. Non solo l’otto marzo, ma tutti i giorni.
Maria Carolina – Sinceramente non ne ho una in particolare. Sicuramente la storia Italiana è costellata da tantissime figure che sono state importanti. Altrettanto sicuramente per le donne è ancora difficile affermarsi in politica e credo che non sia un caso che l’unica donna leader sia quella della destra Italiana, Giorgia Meloni, che ha dedicato la sua vita alla militanza politica. Siamo in prossimità dell’8 marzo quindi una considerazione su questo punto va fatta: noi tra qualche giorno discuteremo in Parlamento una mozione sul ruolo delle donne nella società e credo che ancora ci sia molto da fare perché si tende a considerare realizzata una donna solo quando si sgancia dalla famiglia per dedicarsi interamente alla carriera. La destra italiana vuole affermare il concetto esattamente opposto: le donne non devono mai essere costrette a scegliere tra la famiglia e la carriera.
Barbara – Emmeline Pankhurst, Tina Modotti, le donne partigiane e le madri di Plaza de Mayo. Diciamo tutte le donne che hanno sfidato il sistema di regole maschili ritagliandosi un loro spazio. Donne che hanno affrontato a viso aperto le difficoltà che la loro disobbedienza ha comportato.
di Antonio Melita – EmmeReports