Il protagonista dell’intervista di oggi è un Operatore delle Forze Speciali dell’Esercito. Essendo tale, stavolta, non forniremo nomi, foto o elementi che possano identificarlo e compromettere la sua sicurezza e quella di chi gli sta vicino.
Ha preso parte alle principali missioni a cui l’Italia ha partecipato negli ultimi 15 anni. Abbiamo provato a farci raccontare qualche “racconto di guerra”, ma, come ci ha detto lui stesso, gli episodi più delicati restano confinati fra i componenti del Distaccamento Operativo e della sala operativa che li ha seguiti nelle missioni. “Citare uno scontro a fuoco o uno scampato pericolo adesso, mi farebbe correre il rischio di incappare nella sindrome del veterano. Io sono una persona comune, ho una famiglia, i miei hobby, il mio piatto preferito, e tale voglio apparire agli occhi di chi leggerà questa mia intervista”. Ha esordito il nostro intervistato, che, però, da buon Paracadutista e Soldato, non si è sottratto alle domande e ci ha spiegato cos’è il 185° RRAO (Reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi). Un Reparto a cui, chi scrive, è molto legato, avendo personalmente preso parte ad una missione di ricognizione speciale insieme alla Task Force Victor, sopra le montagne dell’Afghanistan.
Quali sono i compiti del 185° RRAO?
Il RRAO è un’unità delle Forze Speciali ed in quanto tale i suoi compiti principali sono: la Ricognizione Speciale (Special Reconnaissance – SR), le Azioni Dirette (Direct Actions – DA) e l’Assistenza Militare (Military Assistance – MA) a favore di unità straniere. Nell’ambito di questi tre compiti il RRAO è, rispetto a tutte le altre Forze Speciali della Difesa, particolarmente orientato alla ricognizione speciale, mentre le azioni dirette sono condotte principalmente attraverso la guida di munizionamento erogato da aerei, navi o dai diversi sistemi d’arma di artiglieria (operazioni note come Terminal Guidance Operations – TGO) e il fuoco di precisione degli sniper. In sintesi è un reparto che fa della discrezione il suo punto di forza per osservare e raccogliere informazioni e, se necessario, neutralizzare obiettivi di rilevanza strategica.
Come si svolge una missione Special-Recce?
La Ricognizione Speciale, in gergo Special-Recce, si svolge principalmente in territorio ostile allo scopo di raccogliere dati utili a garantire un contributo al ciclo intelligence. Pertanto è necessario mantenere la massima discrezione in ogni fase, che sono quasi sempre schematizzate in questo modo: Fase 1: Inserzione e infiltrazione, Fase 2: Raccolta informativa, Fase 3: Esfiltrazione ed estrazione.
Inserzione..
L’inserzione è una fase critica dell’operazione, perché consente agli operatori il trasporto da una base amica di partenza fino ad un punto di rilascio sul territorio, o sullo specchio d’acqua, controllato da forze ostili. Ciò può avvenire ad esempio tramite un aeromobile, ad ala fissa o elicottero, da cui effettuare un lancio notturno col paracadute, oppure in mare aperto tramite imbarcazioni veloci per poi arrivare attraverso mezzi speciali e a nuoto fino alla costa.
Infiltrazione..
Una volta giunti sul punto di rilascio, a terra o in acqua, inizia l’infiltrazione verso il punto pianificato da cui osservare l’obiettivo. Muovere di notte, a volte per diverse decine di chilometri, comporta un addestramento meticoloso mirato alla disciplina dei rumori. Fondamentale è l’applicazione di tutte le tecniche necessarie a ridurre al minimo ogni traccia che potrebbe mettere in pericolo gli operatori da possibili pattuglie ostili di ricerca, senza escludere il possibile utilizzo di cani per la caccia all’uomo.
Raccolta informativa..
Si svolge principalmente da una posizione statica denominata “posto di osservazione” (Observation Post – OP). L’allestimento dell’OP può essere di vario tipo in base alla durata prevista dell’osservazione, al livello della minaccia e alla distanza pianificata fra OP e obiettivo. Pertanto a volte è necessario costruire dei posti di osservazione sotterranei, che richiedono anche più archi notturni per la realizzazione, oppure a volte è sufficiente utilizzare dei teli mimetici e uniformi adeguatamente mimetizzate denominate ghillie suite. Nell’OP sono necessari strumenti tecnologicamente avanzati per la cattura di immagini notturne e diurne per essere inviate in tempo quasi reale alla sala operativa, da dove si segue all’interno di una base amica ogni istante dell’operazione.
Esfiltrazione..
Terminato il periodo pianificato di osservazione, che può variare da poche ore fino a più giorni, inizia la fase di movimento a piedi, denominata esfiltrazione, fino ad un punto di recupero dove avviene l’estrazione tramite forze amiche che utilizzano un veicolo, un natante o un elicottero per il successivo rientro in base.
Come si ottiene la qualifica di “Acquisitore Obiettivi”?
La qualifica di acquisitore si ottiene attraverso un articolato ed impegnativo iter di selezione e formazione. Requisito iniziale è essere già un militare dell’Esercito. Periodicamente sono indetti dei bandi di concorso interni per partecipare alle selezioni e tirocinio, della durata di 2 settimane presso il Centro Addestramento per le Operazioni Speciali (CE.ADD.O.S.) con sede a Pisa. Chi supera il tirocinio accede al corso per Operatore Basico per Operazioni Speciali (O.B.O.S.) della durata di 10 settimane che si svolge sempre nella stessa scuola di Pisa. Il corso OBOS è l’iter di formazione comune dei tre reparti FS dell’esercito: 185° RRAO, 4° Ranger e 9° Col Moschin. Al termine del corso O.B.O.S., inizia il corso di specializzazione per acquisitori obiettivi della durata di 50 settimane presso la caserma “Pisacane” di Livorno, sede del RRAO. In sintesi è necessario circa un anno e mezzo.
Bisogna avere dei requisiti particolari per farne parte?
La risposta a questa domanda è maturata in me dopo anni di appartenenza al RRAO. Noi diciamo che ci vuole “testa”. Ho visto crollare durante il mio corso dei ragazzi in possesso di una forma fisica impeccabile. Gente fortissima ha gettato la spugna quando meno mi sarei aspettato. Alle selezioni devi dimostrare di possedere delle buone doti sportive e se il primo giorno di selezione avessi scommesso fra me stesso e tanti ragazzi fortissimi, non avrei mai pensato di giungere al traguardo finale della qualifica lasciandomi alle spalle decine e decine di esclusi o ritirati per motivi personali. Quindi è fondamentale possedere un’elevata predisposizione a sopportare condizioni di disagio psico-fisico, a cui normalmente oggi non si è più abituati. Percorrere decine di chilometri a piedi con uno zaino di diverse decine di chilogrammi per più notti a volte sotto la pioggia, nutrirsi con alimenti che puoi conservare e trasportare nello zaino per più giorni, riposare con il solo conforto di uno stuoino su cui poggiare il sacco a pelo nel bel mezzo della fitta macchia mediterranea toscana. La sopportazione del disagio premia quindi più del fisico da atleta. Una persona mediamente allenata con tanta forza di volontà può farcela
Di solito quali sono i diversi ruoli che ricoprono i membri di un Distaccamento Operativo?
Mi limito a descrivere i ruoli principali per motivi di riservatezza. Il distaccamento operativo (DO) del RRAO è un team composto da pochi elementi. Le figure chiave sono il comandante del DO, che è responsabile della pianificazione e condotta dell’operazione e il vicecomandante che coadiuva il comandante nel suo operato. Di fondamentale importanza è l’operatore addetto alle comunicazioni che si occupa dell’invio dei dati. E’ sempre presente almeno un operatore in possesso di pregiate qualifiche NATO nel soccorso e nella stabilizzazione dei feriti, chiamato operatore medico. Per la peculiarità dei nostri compiti non possono mancare esperti in fotografia, in utilizzo di equipaggiamenti opto-elettronici (camere termiche, telemetri laser, ad esempio), controllori del fuoco (Joint Terminal Attack Controller – JTAC) e qualificati tiratori scelti noti anche come sniper.
Che tipo di equipaggiamenti e sistemi d’arma utilizzate?
L’inventario dei materiali e delle armi del RRAO è molti vasto e per alcune capacità specifiche non divulgabile. Posso dire che non passa a noi inosservata ogni novità sul mercato in termini di visori notturni, camere termiche, fotocamere, droni e designatori laser per la guida del munizionamento di precisione, le cosiddette “bombe intelligenti” che, in caso di impiego, riducono al minimo il rischio di danni collaterali. Per quanto riguarda le armi da fuoco disponiamo di un vasto assortimento per far fronte alle diverse situazioni e ambienti operativi. Sicuramente non possiamo fare a meno dei più sofisticati sistemi di ottiche per i fucili di precisione. Spesso, come avviene in tutti i reparti speciali, otteniamo in prova i prototipi di armi, protetti da segreto industriale, per testarne le qualità oppure suggerire le migliorie che più si adattano alla esigenze degli operatori.
Chissà a quante missioni avrà partecipato..
Durante il mio tirocinio di selezione dopo aver superato prove a tempo di marcia celere, dormito poco per giorni, aver guadato un fiume nel mese di dicembre e affrontato altre prove estenuanti, un pomeriggio gli istruttori ci mostrarono un gommone di circa 4,5 metri e il funzionamento delle poche dotazioni che avremmo dovuto utilizzare: il giubbotto salvagente e la pagaia. Niente motore. Per molti di noi era la prima volta che salivamo a bordo di un’imbarcazione così piccola. Ci spiegarono la “teoria della navigazione a remi” e poco prima del tramonto eravamo in acqua a bordo di questi canotti il cui equipaggio era composto da sei uomini. Uscimmo dalla darsena su indicazione degli istruttori che navigavano affianco a noi, a motore, e seguivamo le loro indicazioni. Eravamo privi di orologio e dopo alcune ore di navigazione a pagaia tutti avevamo perso la cognizione del tempo.
Poi cosa è successo?
Navigavamo su un fiume di notte senza alcuna meta. L’unico riferimento era la figura dell’istruttore riconoscibile dalla torcia frontale in testa che ci ordinava, in piedi dal suo gommone, di invertire la rotta e navigare, stavolta a favore di corrente, verso la base di partenza. Sembrava finita proprio quando il chiarore delle luci dell’imboccatura della darsena illuminava i nostri volti. Ma invece, si proseguiva fino al mare e di nuovo su e giù. Intanto la brina imbiancava le maniche della giacca anti-vento e le uniche parti prive di ghiaccio della pagaia erano la pala a contatto con l’acqua e i punti dove la impugnavo con le mani. Intanto più volte ho dovuto destare dal sonno il collega accanto che rischiava di finire in acqua. Spesso ho visto l’istruttore che, in piedi, mi indicava di tornare in base.
E ci è tornato?
Ma avevo appena avuto un’allucinazione, bisognava ancora risalire il fiume e ripassare davanti al porticciolo da cui ormai più nessuno di noi sapeva da quante ore lo avevamo lasciato. Alle prime luci dell’alba facemmo ritorno alla base, e così ebbi il “sollievo” di aver capito quanto tempo fosse passato. Era il solstizio d’inverno, un 21 dicembre di parecchi anni fa. Non a caso la notte più lunga dell’anno. Questo episodio mi ha fatto scoprire un lato della mia forza volontà che mai avrei avuto potuto immaginare. Quando vai al cinema e vedi qualcosa di simile per pochi minuti “credi” di poter capire cosa si possa provare. Scoprire i propri limiti è un privilegio riservato a pochi militari di élite, a praticanti di sport estremi o a comuni cittadini spinti a cimentarsi in imprese fuori dal normale.
Perché non ha scelto un lavoro più comodo e sicuro? Perché proprio il 185° RRAO?
Sulla scelta di un lavoro poco “comodo”, concordo con lei, c’è sicuramente più comfort altrove. Sulla sicurezza invece meno, perché grazie al nostro addestramento è possibile mitigare e ridurre al minimo ogni rischio. Un lancio notturno da 4.000 metri da un aereo non si può improvvisare. Bisogna essere professionisti, consapevoli dei rischi e perfettamente a conoscenza delle procedure, provate e riprovate più volte. Fatta questa premessa, posso dirle che nel mio caso sono entrato nell’Esercito per curiosità e spirito di avventura quando ancora non c’era la vasta disponibilità di informazione di cui oggi si gode grazie ad internet e ai social network. Le mie nozioni sulla vita di caserma erano limitate ai racconti di mio padre sul suo servizio di leva. Ma l’Esercito, quando mi sono arruolato e ancor di più adesso, è una realtà che ti offre grandi prospettive di formazione professionale, dove ti senti parte di una squadra al servizio del tuo Paese. Quindi, per rispondere alla domanda, sono entrato nel RRAO perché mi offriva e, continua ancor oggi ad offrirmi, la possibilità di crescere professionalmente in diversi ambiti. Un ambiente stimolante, dove passione e lavoro uniscono l’utile al dilettevole.
Lo spot della Difesa del 2018, dice “io sono stato quello che gli altri non volevano essere, io sono andato dove gli altri non volevano andare, io ho portato a termine quello che gli altri non volevano fare, ho visto il volto del terrore e il freddo morso della paura…ho pianto, ho sofferto, ho vissuto quei momenti che è meglio dimenticare, ma quando giungerà la mia ora, agli altri potrò dire che sono orgoglioso per tutto quello che sono stato, un Soldato.” È così anche per Lei?
Senza alcun dubbio! Indossando l’uniforme mi metto a disposizione, con orgoglio e fierezza, della nazione sia all’estero che in Italia. Con gli anni questi sentimenti sono sempre più forti e radicati, e quando rientro a casa dopo un turno in operazione e riabbraccio la mia famiglia, sono consapevole di avere contribuito a rendere il futuro migliore, per i miei figli e per tutta la comunità italiana.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports
Questa intervista, nel suo piccolo, ha riconfermato il mio obbiettivo per la vita