Oggi presentiamo Paola D’Amore, palermitana, artista e architetto, per seguirla nella sua esperienza creativa. Lascio che sia lei a raccontarsi e faccio solo una piccola premessa.
Paola D’Amore ha una forte consapevolezza del gesto e del pensiero artistico e sembra più impegnata a raccogliere stimoli, a definirli in categorie e poi ad esprimere le sue valutazioni attraverso un linguaggio fatto di forme, di volumi e colori che non a descrivere emozionalmente la realtà.
Guardare queste opere richiede lo sforzo di entrare nella sua ricerca artistica e filosofica per apprezzarne poi le conclusioni, espresse con interventi plastici ed equilibri cromatici.
Sono un architetto prestato all’arte, mi ispiro a un mondo di emozioni che nascono dagli stati d’animo e dall’osservazione del paesaggio e della città. Conoscere i luoghi, scoprirli e stare a contatto con la natura riempie la mia mente di energia, energia da liberare attraverso i colori e la materia. La prima ispirazione è il mondo circostante, guardare ciò che accade e custodire le immagini che gli occhi hanno registrato. Questa energia riversata su tele e materie da plasmare si trasforma in gioco creativo.
I miei lavori non seguono un processo creativo univoco. Le tecniche sono svariate e pertanto ognuna di esse segue la propria direzione. Quando si tratta di lavori su tela e acrilico faccio disegni o schizzi e li elaboro, ma quando entrano in gioco le forme, il procedimento cambia, il percorso è molto più delicato e il risultato ottenuto non sempre coincide con quello previsto. I lavori sono realizzati con miscele plastiche versate su sagome precedentemente create.
Talvolta la forma definitiva si raggiunge prima che il pensiero abbia pensato e il risultato finale è il frutto della velocità nella manipolazione del composto che indurendo modifica velocemente la sagoma senza alcun significato intenzionale.
Il gioco viene inteso come momento di libertà espressiva, come scelta intuitiva del mezzo e della forma che meglio esprimono uno specifico assunto. Può parlarci delle opere esposte?
Sicuramente! Tra queste mi piace fare un riferimento al Trittico di giochi (Labirinto, Scacchiera, Roulette) e al Videogame. I tre giochi esprimono ciascuno un aspetto dell’esistenza umana e dal loro collegamento scaturiscono delle costanti dell’esperienza esistenziale di ciascuno di noi.
Il labirinto, la scacchiera e la roulette, sono i simboli della complessità della condizione umana, della sua frequente indecifrabilità, del mistero e della ricerca di una via che porti alla liberazione (il labirinto), della necessità di impiegare la ragione, l’intelligenza e il sapere per orientarsi nella vita e non soccombere di fronte agli ostacoli (la scacchiera), dell’inevitabile ruolo che vi assume la dea bendata, la fortuna (la roulette).
Mentre il videogame è l’emblema della nostra epoca digitale. È il simbolo del venir meno dei confini tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, dell’enorme capacità di calcolo dei microprocessori e della possibilità dei programmi di elaborare milioni di dati interagendo direttamente con l’intelligenza umana, sfidandola, apprendendo dalle sue azioni e modificando la tattica di gioco in funzione di queste. È la creazione di un’umanità iperconnessa.
Per rappresentarla ho utilizzato un caleidoscopio di frammenti di colore riuniti in un tutto che domina le parti. In questo modo richiamo l’umanità fatta di individui che interagiscono, la loro ricchezza espressa dai vari colori, ma anche la frammentarietà e la possibilità di controllo totale da parte dei giganti della rete.
Un’arte che diventa linguaggio, possibilità di ragionare oltre le parole, punto di partenza per interrogarci sull’uomo e sul suo mondo. La sua è speculazione astratta o si lega anche al territorio?
Per me l’arte, come sosteneva Aristotele, è una naturale tendenza dell’uomo a rappresentare la realtà. In questa occasione proprio perché espongo nella mia città, Palermo, sento più vivide le fonti di ispirazione dei lavori creati. La sfida, la sorte, la sopravvivenza, il rischio di essere massificati e travolti.
La scacchiera, la roulette, il labirinto, il videogame sono tutte dinamiche attive e presenti in questa città dell’anima e del tormento. Palermo è, infatti, un ossimoro, città delle diversità e delle contraddizioni, ma città d’arte e di cultura millenaria.
Ragionare sulla società, attraverso l’arte. Costruire per tasselli un mondo più consapevole: dove può portarci questa strada?
Ad una società aperta e solidale. Una società capace di comprendersi e libera dalla gretta volontà di trincerarsi, un’umanità che riscopre il piacere e la voglia di comunicare. A questa larga prospettiva si lega, per me, il tema del gioco. Il gioco è una manifestazione immediata, ineliminabile, dell’essere umano, quale che sia la razza, la religione, la lingua, la tradizione culturale in cui la singola persona si colloca. Il gioco non ha confini, il gioco unisce, il gioco richiede un confronto leale. Il gioco è anche una metafora della vita e delle sue manifestazioni.
Da qui nasce il mio appello al mondo, che spero si unisca alla voce di tanti altri artisti, e che si riassume in uno dei lasciti imperituri della Rivoluzione francese: fraternité, fraternité, fraternité. La solidarietà tra gli individui e tra i popoli è un obiettivo per cui vale la pena di vivere e vivendo di creare. La creazione artistica è, in fondo, la massima espressione del legame che ci unisce tutti.
Paola D’Amore, una riflessione sulla vita e sulla società, espressa con le forme e i colori dell’Arte.
Paola D’Amore a BIAS 2020 Palermo Loggiato San Bartolomeo fino al 12 settembre 2020

di Massimiliano Reggiani – EmmeReports