Oggi presentiamo Mohamed Keita, artista ivoriano, che ha dovuto lasciare il proprio Paese a 14 anni per causa della guerra civile e solo con un lunghissimo viaggio attraverso la Guinea, il Mali, l’Algeria, la Libia e Malta è arrivato in Italia, dopo tre anni, nel 2010.
Qui ha scoperto il suo talento innato per la fotografia e con i suoi scatti ci racconta un quotidiano che a noi altrimenti sfuggirebbe: benessere e sicurezza ci hanno reso ciechi ai valori fondamentali dell’Umanità.
Nel tema della Biennale rientra il gioco: è un aspetto importante nella vita?
Sì, la vita stessa è un fragile gioco e finché ne abbiamo la possibilità siamo chiamati a giocarla assieme. Condividerla è l’unico modo di vivere con piacere. Condividerla significa prendersi cura dell’altro, e quindi di noi stessi, anche semplicemente raccogliendo in uno scatto la sua presenza. Ogni nostro gesto non deve essere fine a sé stesso, ha bisogno degli altri, del loro sguardo, della loro vita, della diversità.
Questa Biennale ci aiuta a creare ponti, ad abbattere barriere?
BIAS è una realtà che, attraverso la cultura, si impegna a mettere assieme realtà diverse: unisce, non contrappone le differenze. È un ruolo fondamentale, non bisogna mai sottovalutare l’importanza dello scambio e della cultura. Esporre a Palermo, per me, significa soprattutto incontrarsi, raccontare il passato e progettare il futuro.
Io sono un semplice fotografo ma cerco di condividere con gli altri la vita che sto vivendo e il mio passato. Per me tutte le persone sono importanti, per questo motivo mi interesso soprattutto agli altri, valorizzandoli, anche attraverso l’obiettivo della mia macchina fotografica.
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Cosa raccontano le tue opere?
Nelle fotografie rappresento la mia vita, tra Africa ed Europa. Sono combattuto fra due culture: quando sono in un continente sogno l’altro e viceversa. Così fotografando cerco di ritrarre in ognuno quegli aspetti che mi mancano nell’altra metà. Anche il modo in cui osservo le persone è lo stesso, perché variano fisicamente ma le persone sono sempre e solo persone, in ogni continente. Il mio lavoro artistico è spontaneo e non artificioso.
Scatto fotografie di ciò che vedo e non di quello che vorrei vedere. Ho imparato che noi esseri umani abbiamo bisogno l’uno dell’altro, altrimenti non siamo niente: dobbiamo condividere le nostre vite, i sentimenti e i pensieri. Io lo faccio attraverso le fotografie e le azioni quotidiane. Si può condividere la vita in molti modi diversi, perché è importante non solo dare ma anche ricevere.
Che definizione daresti alla parola Arte?
La lingua universale, quella che la maggior parte delle persone potrebbe parlare o comunque dovrebbe essere almeno capace di ascoltare.
Mohamed Keita, la capacità di parlare al cuore degli uomini.
Mohamed Keita a BIAS 2020 Palermo Loggiato di San Bartolomeo fino al 12 settembre 2020
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di Massimiliano Reggiani – EmmeReports