Dieci anni dalle primavere arabe, dieci anni dal rovesciamento ingenuo e speranzoso dei regimi dittatoriali di Paesi marchiati da una condotta comune. Dieci anni e molti fallimenti. Il capolavoro della rivoluzione tunisina, arenato in agonia.
Della rivoluzione che ha sedotto un’intera generazione, spacciata addirittura per ribellione post-islamista, paragonata a quella religiosa iraniana, oggi non resta che la memoria. Poca cosa per i nostalgici di quell’esperienza singolare, che ogni anno ricordano il tonfo-trionfo della democrazia.
Cosa è rimasto di quella folla liberale e modernista? Il popolo oggi annaspa penosamente, beccheggiando agonizzante nelle sue stesse acque.
La Rivoluzione, travisata sin dai suoi esordi, brucia velocemente e si appresta a traghettare dall’incanto al fallimento.

La Tunisia per un po’ ci ha fatti sognare, interpretando il copione del bel Paese, oggi è uno Stato che sventola sommariamente il vessillo democratico. Una bandiera vuota esposta al vento di levante. Dai vagiti primordiali e genuini di una democrazia al couscous, riemergono miseria e corruzione. I germi del populismo trovano terreno. Il grido «il popolo vuole!» echeggia già populismo?
Un popolo che rinnega le proprie stesse conquiste è scettico o infantile? Quanto è lungo il passo fra libertà e corruzione? Oggi a governare è il governo fantoccio di Kais Saied, l’ammaliatore dall’arabo antico. La democrazia diretta torna in auge fomentandosi nelle sue degeneri forme. La matrice ultra-conservatrice si impone, grazie ad un’alleanza innaturale fra i secolaristi complici inconsapevoli degli islamici conservatori. Cedendo al cattivo vento dei tempi attuali, Tunisi ripiomba nel fanatismo e si impantana.
Il Paese territorialmente africano è socio-economicamente europeo. Il suo sistema economico, dopo anni di polarizzazione fra il campo islamista-rivoluzionario e quello progressista modernista, è punto a capo. Arenato tanto quanto, se non peggio, ai tempi della dittatura. La Tunisia è una macchina a vapore senza turbina, ignorante dei propri stessi processi.
Oggi è sull’orlo della rottura. L’economia crolla, il tessuto sociale si sfalda, i valori vacillano. Riemergono sopiti conflitti tribali, ma più di tutto si avverte lo sbandamento. Dinanzi a un presidente che proclama il primato della sharia, ripropone la pena di morte, condanna i non allineati e sentenzia sulla questione dell’eredità delle donne, tanto cara invece al precedente Caid Essebsi, la Tunisia si appresta ad un salto nel buco nero. Riaffiora il nazionalismo arabo in tutte le sue sembianze.
Superata la fase equivoca, ma ottimista, dei primi due anni post rivoluzione il Paese ha dato il consenso a un islamismo conquistatore. In breve tempo riemergono i partiti islamici, Ennahdha appare moderato, nascondendo la vera natura, la coalizione Karama (Dignità), apre le porte ai fratelli musulmani e ai nuovi jihadisti fomentati dagli ordini di levante.
Il successo dell’«islamo-banditismo» dimostra in breve tempo che il «post-islamismo» è un inganno. Nell’ultimo quinquennio la società civile tunisina tenta invano di dare una svolta opponendo un’eroica resistenza secolarista. Tutti chiedono qualcosa. Lavoro, diritti, libertà, potere, ma il popolo confusamente si proietta sempre più in idee religiose conservatrici e panislamiche.
Riaffiorano i temi cari alle elité corrotte: ostilità al Parlamento, odio per il sovranismo, soprattutto anti-francese, ostilità verso l’uguaglianza, titubanza nei confronti dell’informazione. La Tunisia, salva dalla dittatura islamica cede al populismo e ci raggiunge. Sperando che la caduta dei populismi d’oltre mare la possa contagiare e risvegliarne lo spirito cartaginese.

Di Elena Beninati – EmmeReports
Foto di Elena Beninati