Quello che accomuna i fotogiornalisti di mezzo mondo, il leitmotiv del percorso professionale di chi decide di raccontare la storia attraverso le immagini, è la strada, la stessa che Gigi Petyx ha calpestato per una vita intera, la stessa che, oggi, calpesta suo figlio Igor e tutti noi che lavoriamo nel mondo dell’informazione.
Ma non sempre il lavoro dei fotogiornalisti è adeguatamente riconosciuto, nonostante l’impegno, i sacrifici e la fatica che questi professionisti della fotografia affrontano ogni santo giorno, per arrivare a fine mese e sopravvivere. E allora perché lo fanno, vi direte. Per il bisogno di documentare quello che accade intorno a loro, per raccontare una storia, per far venire alla luce di una società troppo distratta e qualunquista, aspetti e problemi del posto in cui vivono.
I fotogiornalisti sono spesso i lavoratori sacrificabili, quelli che mandano in prima linea, ma di cui se ne può fare a meno quando si tocca il tasto del compenso, una brutta parola che, nonostante la legittimità della richiesta, spesso viene pronunciata con timidezza e timore di perdere il lavoro.
Alcune delle fotografie di Gigi Petyx sono state pubblicate nel libro “Palermo Petyx”, la cui prefazione è stata scritta dalla scrittrice Dacia Maraini, che ringraziamo per aver voluto inviare un messaggio al fotogiornalista scomparso, attraverso EmmeReports: “Occhio di carne e di ferro, ho definito lo sguardo del fotografo Petyx. Di ferro perché tenace e rigido. Di carne perché permeato di comprensione e tenerezza. Sono sicura che dal cielo saprà mandarci delle belle foto del paradiso perduto”.
I fotogiornalisti continuano a scendere in strada, per fotografare per conto delle redazioni dei quotidiani o per le agenzie che rivendono il loro lavoro, guadagnando, spesso, più di quanto poi viene dato all’autore del servizio.
Tante le porte sbattute in faccia a questi lavoratori dell’informazione, tanti i telefoni bloccati e, oggi, tante le email senza risposte. Ma, improvvisamente, alcuni di loro, non tutti, vengono ricordati solo quando lasciano la vita terrena.
Probabilmente è quello che è accaduto a Gigi Petyx che, come ha detto la moglie Giovanna, “lo hanno dimenticato per anni”, ad eccezione dei parenti, amici e colleghi che, questa mattina, lo hanno salutato, per l’ultima volta, alzando in cielo le macchine fotografiche e scattando in suo onore.
“Nella vita, ciascuno di noi, è quello che è sa essere, ma è anche e soprattutto, quello che sa essere agli occhi degli altri, che lo qualifica e ne determina veramente il valore, lo spessore e la sostanza morale ed etica” ha esordito il direttore del Giornale di Sicilia, Marco Romano, presente ai funerali di Petyx. “E, allora, se tutto questo è vero, noi siamo davanti a una persona e non ad una bara. Siamo davanti a una persona che ha fatto della sua vita, sostanza, tangibilità ed etica, prima ancora che professione”.
“Molti di noi, in questo mestiere, ma anche tanti altri, siamo nati e abbiamo fatto un percorso con lui, lungo, travagliato e tormentato, non sempre omogeneo, ma sempre costantemente reale e vero” ha continuato Romano. “Lo abbiamo fatto scavalcando e trascendendo i livelli generazionali. Ricordo, da giovanissimo cronista, che per me Gigi non era il fotografo che veniva con me a fare i servizi in giro per la città, ma un amico, un pilastro a cui appoggiarmi e a cui accostare le mie insicurezze, i miei dubbi, le mie perplessità”.
“Non ha mai reso difficile nulla e non si è mai fermato davanti a nulla. Lo faceva con me giovane collaboratore, nonostante avesse dietro un background professionale enorme e che tutti noi conosciamo” ha spiegato il direttore del Giornale di Sicilia. “Un background che ha scritto la storia di questa città e di questa disgraziata terra, in periodi particolarmente complicati e tormentati. Però questo non gli impediva di rimettersi in gioco insieme ai giovani collaboratori di un giornale o di un altro, perché aveva dentro di se l’amore per questa professione, dove per Gigi, non faceva differenza fotografare su Montagna Longa o farlo inseguendo Ninetta Bagarella su un marciapiede dissestato, piuttosto che fotografare una inutile conferenza stampa di un minuto, di un’iniziativa che mai si sarebbe realizzata”.
“Ricordo il modo dissacrante con cui consacrava la sua professione, a dimostrazione dell’amore per il suo lavoro, a prescindere da come veniva svolto. Un amore che ha trasmesso a Igor, degno erede e che sarà sempre orgoglioso di aver avuto questo padre. Un maestro, un compagno di vita e di percorso professionale, per tanti noi che, grazie a Gigi Petyx, hanno contribuito a scrivere la storia di Palermo. Nella sua storia, in quel volume, in quella macchina fotografica, è racchiuso il ricordo di ciascuno di noi e nelle pagine scritte, in decenni di giornali, di questa disgraziata e meravigliosa terra. Marco Romano, direttore del Giornale di Sicilia” ha concluso Romano.
Il sindaco Roberto Lagalla ha ricordato il fotografo palermitano, inviando un messaggio alle redazioni: “La morte di Gigi Petyx rappresenta una grave perdita per il mondo del giornalismo palermitano”.
“Per oltre mezzo secolo Petyx ha raccontato puntualmente la storia di Palermo. Dagli anni più bui, segnati dalle stragi di Mafia, alle emergenze della nostra città. Per i fotoreporter e i cronisti, Gigi Petyx è stato un grande esempio, grazie alla sua immensa generosità. Un professionista sempre pronto a dispensare consigli ai giovani, che si avvicinavano al mestiere di giornalista. I suoi scatti sono una ricca e indelebile eredità lasciata alla città” ha concluso Lagalla.
Di Francesco Militello Mirto, Victoria Herranz e Antonio Melita – EmmeReports