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Home Politica

Guardia Costiera in azione nel Mediterraneo

di Paolo Cafaro
in Politica, Politica Estera, Primo Piano
Guardia Costiera in azione nel Mediterraneo

I resti dell’imbarcazione di migranti naufragata a largo di Crotone – Copyright Valeria Ferraro / EmmeReports

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Proseguono le attività in mare della Guardia Costiera in soccorso di diverse imbarcazioni che tentano di raggiungere le coste italiane. Numerosi soccorsi in atto al largo della Calabria. Le motovedette SAR CP 320, CP 322 e CP 329 stanno intervenendo, a circa 70 miglia a sud di Crotone, per prestare soccorso a un barcone con circa 500 migranti a bordo. Nave Dattilo e le motovedette SAR CP 326 e CP 325 stanno prestando soccorso ad altri due barconi con un totale di circa 800 migranti a bordo che si trovano a circa 100 miglia a Sud Est di Roccella Ionica. I soccorsi, coordinati dalla Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma in area di responsabilità SAR italiana, risultano particolarmente complessi per il numero elevato di persone presenti a bordo delle imbarcazioni alla deriva. Le operazioni proseguiranno nelle prossime ore anche con l’impiego di un aereo ATR-42MP, di Nave Corsi e di Nave Visalli della Guardia Costiera.

Un pilota di un ATR-42MP della Guardia Costiera durante una missione SAR – Copyright Francesco Militello Mirto / EmmeReports

Ieri mattina, durante il pattugliamento aereo di Frontex, sono state avvistate in acque SAR maltesi, a circa 10 miglia dalle acque territoriali italiane, alcune piccole imbarcazioni in ferro, sovraccariche di persone ed in pessimo stato di galleggiabilità. L’Autorità SAR di La Valletta, avvertita della situazione di pericolo, ha immediatamente richiesto alla Guardia Costiera di Roma (IMRCC) la cooperazione ai sensi della Convenzione SAR. IMRCC ha pertanto inviato in area l’unità più vicina in grado di intervenire che in quel momento, una motovedetta della Guardia di Finanza. Quest’ultima, giunta rapidamente sul posto, ha subito cominciato il recupero degli occupanti. Durante queste prime concitate fasi, una di queste imbarcazioni, che dalle immagini dell’aereo mostrava che già imbarcava acqua, è affondata.

Sul punto è arrivata anche la motovedetta della Guardia Costiera CP 324, che aveva appena ultimato un soccorso in favore di 45 migranti, tra i quali 5 neonati. Le unità navali italiane hanno tratto in salvo tutti i 38 migranti caduti in acqua. La complessa operazione di soccorso ha visto l’impiego del Rescue Swimmer, specializzato nel salvataggio in acqua in spazi ristretti e con condizioni meteomarine avverse, imbarcato a bordo della motovedetta della Guardia Costiera.

Perché non accada più: riflessioni sulla strage di Steccato di Cutro

Si dovrà ovviamente attendere l’esito delle indagini che la magistratura crotonese sta compiendo sull’ennesima strage di migranti, avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi, sulla costa ionica calabrese, per conoscere con oggettiva certezza le cause di quel naufragio e di quelle morti e le eventuali responsabilità. Ma la mia esperienza in materia di soccorso in mare e la conoscenza delle norme che la disciplinano e delle tantissime situazioni in cui esse sono state applicate, mi suggeriscono talune considerazioni da fare sull’accaduto, che si presenta diverso da altre tragedie del mare che hanno coinvolto i migranti. In Italia, che è un Paese di frontiera e, quindi, di primo approdo per i flussi migratori, è il Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera ad essere competente della direzione, del coordinamento e della conduzione delle operazioni di ricerca e soccorso in mare (SAR-Search and Rescue) ai sensi del Codice della Navigazione e dei decreti attuativi della Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo, avvalendosi di una apposita struttura organizzativa e di assetti aeronavali all’uopo dedicati e capaci di intervenire in ogni condizione meteomarina e ben oltre i limiti del mare territoriale ed anche dell’area di responsabilità nazionale per il soccorso in mare, come le innumerevoli operazioni SAR condotte a buon fine sino al limite delle acque territoriali dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno dimostrato almeno dalla crisi libica del 2011 in poi.

Per l’espletamento di tale delicata funzione, il Corpo si avvale anche del concorso di ogni altro assetto aeronavale ritenuto in grado di intervenire efficacemente laddove, per tante ragioni, i propri mezzi non possano farlo. E non si contano negli anni i casi in cui si è chiesto la collaborazione di mezzi di Guardie Costiere di Stati limitrofi, di navi militari di Paesi stranieri, di navi mercantili di qualsivoglia bandiera, di navi di organizzazioni non governative dedite a salvare vite umane e, naturalmente, di unità della Guardia di Finanza e della Marina Militare. In particolare, quest’ultima è stata protagonista dell’unica vera operazione umanitaria condotta tra il 2013 ed il 2014 nel Mediterraneo per prestare soccorso ai migranti, l’Operazione Mare Nostrum, salvando decine di migliaia di vite umane.

Personale della Polizia di Stato imbarcato su Nave San Giusto durante l’Operazione Mare Nostrum nel 2014 – Copyright Francesco Militello Mirto / EmmeReports

Il dilemma che molto probabilmente è stato alla base della tragedia di Cutro, ossia decidere se un’imbarcazione in mare con migranti a bordo debba trattarsi come evento SAR o meno, sussiste da sempre e la Guardia Costiera italiana, soprattutto nei rapporti con le autorità SAR di Paesi limitrofi come Malta e la Grecia, che tante volte hanno fatto e fanno transitare tali imbarcazioni attraverso le proprie acque di giurisdizione senza muovere dito a meno che non stiano affondando, si è mantenuta fedele al principio del soccorso precauzionale, cioè se un’unità in mare è sovraccarica, non ha certificazioni valide, né equipaggi abilitati, né dotazioni di sicurezza idonee e sufficienti per tutti gli occupanti e per la navigazione che compie, presenta un altissimo indice di rischio e deve essere fermata proprio per evitare che si vada ad accrescere quel cimitero di migranti che il Mediterraneo è ormai diventato.

Troppe stragi hanno confermato senza il minimo dubbio la validità del predetto principio. Questo elementare criterio di umanità, il cui scopo è evitare le morti in mare, ha sempre contraddistinto la Guardia Costiera italiana e l’intera storia della Marina Militare. Del resto, le centinaia di migliaia di casi che hanno interessato il nostro Paese almeno da dieci anni a questa parte, dimostrano inequivocabilmente che un evento di immigrazione irregolare presenta sempre le caratteristiche di un evento SAR. Ma tale principio, come dimostrano l’ormai annoso e animatissimo dibattito pubblico sul tema e l’esito delle recenti competizioni elettorali, non trova analoga sensibilità in tanta parte dell’opinione pubblica e della politica sia italiana che europea, essendo l’accoglienza a terra resa complicata da norme assai discusse e discutibili come il regolamento di Dublino, la cui ultima versione è stata approvata nel giugno 2013 (per l’Italia dal Governo Letta) ricalcando sostanzialmente gli stessi contenuti della versione precedente (adottata nel 2003 dal Governo Berlusconi II), e l’integrazione condizionata dai costi e dai pregiudizi.

E così, a fronte di numeri record di arrivi negli anni tra il 2013 e il 2016, già a partire dal governo Gentiloni e poi con il governo successivo e, soprattutto, con l’attuale, si è proceduto al progressivo smantellamento e depotenziamento degli assetti sia di Guardia Costiera che di organizzazioni non governative preposti al soccorso dei migranti, ritenendo i cosiddetti “fattori attrattivi” (o pull factor) determinanti per favorire le partenze, senza considerare che i “fattori di spinta” (o push factor) possono essere talmente forti da prevalere ed indurre a tentare comunque la sorte, magari attraverso altri mezzi ed altri percorsi, come attesta il numero di immigrati giunti in Italia nel 2022 (104.061 persone contro le 67.034 del 2021 e le 34.000 del 2020) e come la stessa tragedia di Cutro dimostra.

Attribuire priorità, nelle procedure operative, alle valutazioni di polizia anziché a quelle afferenti alla salvaguardia delle vite dei migranti anche se clandestini espone inevitabilmente gli stessi a rischi assai elevati, attese le precarissime condizioni in cui vengono fatti viaggiare. La tragedia di Cutro è figlia di queste valutazioni. L’impiego prioritario, anzi esclusivo, di unità navali della Guardia di Finanza in un evento considerato soltanto di immigrazione irregolare anziché come evento potenzialmente SAR, come invece si sarebbe dovuto fare immediatamente dopo la segnalazione dell’aereo di FRONTEX, ha sicuramente facilitato l’esito tragico. Anche l’aver sostanzialmente attribuito al Ministero dell’Interno la funzione di super-coordinatore per gli interventi afferenti ai flussi migratori non agevola il tempestivo avvio delle operazioni di soccorso.

I resti dell’imbarcazione di migranti naufragata a largo di Crotone – Copyright Valeria Ferraro / EmmeReports

Certamente, per evitare le morti in mare, basterebbe che gli eserciti di disperati non affrontino questi “viaggi della speranza” affidandosi a trafficanti senza scrupoli, e questo, per quanto complicato, è un obiettivo squisitamente politico. Ma, una volta che prendono il mare, l’obiettivo diventa “evitare che perdano la vita”, e questo è un obiettivo operativo che rientra nella competenza e nella responsabilità della Guardia Costiera e non di altri. Tale competenza e responsabilità deve essere esercitata dalla Guardia Costiera sull’intera area SAR italiana che è ampia 500.000 kmq e si estende ben oltre le 12 miglia nautiche delle acque territoriali, ma anche ben oltre le ulteriori 12 miglia nautiche previste dalla cosiddetta legge Bossi-Fini per l’espletamento delle funzioni di polizia antimmigrazione da parte della Guardia di Finanza, la cui azione è pertanto limitata a 24 miglia nautiche dalla costa (più correttamente dalle linee di base) italiana.

E non si contano i casi in cui la Guardia Costiera ha prestato soccorso ad imbarcazioni pericolanti cariche di migranti anche oltre i confini dell’area SAR italiana pur di evitare la perdita di vite umane. Deve essere anche osservato che il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera possiede la qualifica di “Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria”, anche se limitatamente al perseguimento dei reati previsti dal diritto speciale della navigazione marittima, dalle norme sulla tutela delle risorse ittiche e dell’ambiente marino e sullo smaltimento illecito dei rifiuti e, pertanto, non rientra tra le Forze di Polizia. Può, però, intervenire in via concorsuale per la repressione del reato di immigrazione clandestina. Altrimenti si potrebbe ovviare a questa suddivisione di competenze tra i due Corpi prevedendo interventi congiunti nei casi di migrazione irregolare.

Ma probabilmente un coordinamento adeguatamente e ufficialmente regolamentato e “proceduralizzato” tra le centrali operative dei due Corpi per la gestione degli eventi migratori, potrebbe già bastare per superare quell’esiziale barriera tra ciò che è “polizia antimmigrazione” e ciò che è “soccorso in mare” che ha condotto alla tragedia di Cutro e favorire interventi efficaci anche con avverse condizioni meteorologiche e ben prima che le barche raggiungano la linea di costa. Questo potrebbe aiutare nel perseguimento dell’obiettivo operativo di evitare le morti in mare di cui parlavo prima ed anche dell’obiettivo di perseguire i reati connessi con l’immigrazione clandestina.

Che dire, invece, dell’obiettivo essenzialmente politico di evitare che le persone si affidino ad organizzazioni criminali per compiere viaggi dall’esito incerto? È certamente un obiettivo assai complesso da perseguire e conseguire. I processi di de-globalizzazione in atto e l’espansione delle aree sottratte alle dinamiche di mercato e di crescita e di quelle martoriate da conflitti stanno alimentando i flussi migratori che dal vicino Oriente, dall’Asia e dall’Africa si rivolgono all’Europa con l’interesse della disperazione. L’inconsistenza dell’Unione Europea in materia di politica estera rende impossibile la governance dei fenomeni migratori che stanno caratterizzando sempre più la fine dell’era di pace e benessere che ha illuso i Paesi europei dalla fine dell’ultima guerra mondiale e ancor più dalla fine della guerra fredda.

In questo ambito, come anche in altri, prevale perciò la logica dell’”ognuno per sé”. Così la cancelliera Angela Merkel, con l’accordo del 16 marzo 2016, ha preferito che venissero pagati 6 miliardi di euro delle casse europee alla Turchia di Erdogan purché questi bloccasse entro i propri confini i migranti siriani diretti in Germania. E l’Italia del governo Gentiloni, tramite il proprio Ministro dell’Interno Minniti, ha deciso nel 2017 di regalare soldi ed unità navali al debolissimo governo tripolino e, quindi, alla sedicente Guardia Costiera libica, affinché potesse operare “soccorsi” nell’improvvisata area SAR libica, ma sostanzialmente affinché potesse effettuare i “respingimenti” vietati all’Italia ed all’UE dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

Sia l’accordo con la Turchia per respingere i migranti siriani che quello con Tripoli per respingere i migranti africani sono diventati strumenti preziosi nelle mani della stessa Turchia per le sue mire nell’area mediterranea, alla luce dell’intesa economica e militare del novembre 2019 tra Erdogan e Fayez al-Sarraj, allora primo ministro di Tripoli. I migranti sono, così, diventati funzionali agli obiettivi geopolitici della Turchia, paese di grande peso, e non solo a livello regionale, e dalle mire imperiali. I migranti naufragati a Cutro erano partiti da Smirne, grande porto turco nel Mar Egeo. La partenza illegale via mare di centinaia di persone provenienti da posti disparati richiede un’organizzazione ed una logistica assai complessa che in un Paese come la Turchia, sviluppato economicamente e socialmente, ma molto controllato politicamente, non può sfuggire alle autorità di polizia e di governo. Appare evidente l’intendimento turco di utilizzare i migranti come strumento di pressione nei confronti dell’UE, affetta da inconsistenza cronica sul piano della politica internazionale, ma unita e ferma nel rigettare i migranti, salvo manifestare imbarazzato rammarico in caso di tragedie.

Conferenza stampa Governo Italiano a Crotone – Copyright Valeria Ferraro / EmmeReports

È proprio quello che ci vuole per corroborare le pretese turche nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo! Lo stesso discorso vale per i migranti africani “gestiti” dai trafficanti libici, considerata l’enorme influenza politica e militare turca in Tripolitania, come anche quella russa in Cirenaica. Rebus sic stantibus, non rimane altro da fare all’Italia, in mancanza di scelte politiche europee e in assenza di appoggio politico da parte di alleati “di peso”, come potrebbe essere la Francia, considerati i suoi rapporti non certo idilliaci con la Turchia, che cercare un modus vivendi con Ankara al fine di limitare le partenze di migranti dai porti turchi e dalle spiagge tripolitane, disciplinarle in funzione delle esigenze italiane (e magari anche europee) di forza lavoro ed attivare corridoi sicuri, evitando così il ripetersi di disastrosi naufragi.

L’economia, la politica e la pace mondiale sono sempre più condizionati dalla competizione epocale tra USA e Cina per il predominio tecnologico e militare (di cui l’attuale conflitto russo-ucraino è espressione) e, pertanto, la povertà e la disperazione sono destinate a diffondersi, mentre la parte ricca del mondo è destinata a contrarsi e ad essere sempre meno disposta ad accogliere: la banale formula “aiutiamoli a casa loro!”, spacciata troppo spesso come soluzione ottimale per i problemi migratori, suonerà sempre più come vuota e ridicola utopia.

Di Paolo Cafaro (Contrammiraglio Pilota Guardia Costiera) – EmmeReports

Si ringrazia la fotogiornalista Valeria Ferraro per le foto da Crotone

Tags: clandestiniCrotoneCutroguardia costieraLampedusaMigrantiSARSearch and RescueSoccorso
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