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Giovanna Botteri, l’umiltà nel giornalismo

by Francesco Militello Mirto
Home Sociale Donne

Figura mitologica metà donna e metà ologramma, la leggenda narra che Giovanna Botteri non dorma mai, che si nutra solo di notizie fresche e che viva in una redazione sperduta qua e là nel mondo.

La giornalista triestina della RAI, ha seguito i più importanti avvenimenti degli ultimi trenta anni, come il crollo dell’Unione Sovietica, la guerra d’indipendenza in Croazia, la guerra in Bosnia e l’assedio a Sarajevo dove, assieme a Miran Hrovatin,  hai filmato l’incendio della Biblioteca Nazionale, la strage del pane, il massacro di Markale e il massacro di Srebrenica. Poi Algeria, Sudafrica, Iran, Albania, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Stati Uniti. Da dicembre in Cina, gli mancano molto l’Italia e naturalmente i suoi affetti, in primis sua figlia.

Non era facile trovare delle domande intelligenti da rivolgere ad una giornalista del calibro della Botteri, ma noi di EmmeReports ci abbiamo provato lo stesso.

Dal 1991 a oggi hai seguito numerosi ed importanti avvenimenti internazionali come inviata speciale. Ma tutti si chiedono, ma Giovanna Botteri ha una casa vera?

Io sono nata a Trieste, sono andata a studiare in Francia, poi ho cominciato a lavorare a Roma, cominciando a fare l’inviata, poi negli Stati Uniti come corrispondente, dove sono stata per più di 12 anni, quindi la consideravo casa mia. Comunque ho una casa vera, a Roma. E per chi fa il mio lavoro è importante averla.

Dormi mai?

Dormire è il vero problema che ho! Dormo veramente pochissimo. Mentre parliamo sono appena passate le 03.00 del mattino qui a Pechino e andrò avanti per altre due ore! Ma questo fa parte del lavoro che facciamo, essere sempre pronti e cercare di esserci quando gli altri hanno bisogno di te, della copertura, dello sguardo e del racconto che puoi dargli.

A qualunque ora del giorno e della notte sei pronta a darci notizie fresche. Come fai? Hai un tuo staff che ti aiuta?

Non posso costringere le persone a fare le notti in bianco. Quindi, sostanzialmente, lavoro con un unico tecnico al giorno. Abbiamo fatto così per tutta l’emergenza coronavirus, anche per prudenza, quando tutto era chiuso. Siamo andati avanti in tre, con i due montatori che si alternavano, quindi in maniera essenziale, ma più sicuro.

Il sistema online funziona moltissimo. Soprattutto in quel mese e mezzo di isolamento in cui non ci si poteva muovere, non si usciva. Una strada virtuale in cui puoi confrontarti con altre persone. Avere a disposizione il web è stato molto importante in Cina, avere uno spazio di comunicazione quando non potevi uscire di casa.  

Gli italiani ti apprezzano moltissimo, tanto da dedicarti numerose pagine facebook.

Sono un tipo abbastanza schivo e non sono su facebook. Mi spaventano moltissimo la violenza e gli attacchi verbali attraverso i social, di persone che nemmeno conosci, a cui non gli hai mai fatto niente. Mi piace avere rapporti diretti, non mediati, dove è possibile discutere, confrontarsi.

Che consiglio ti senti di dare alle giovani giornaliste che vogliono seguire la tua strada?

Io credo che sia un momento difficile per l’informazione, sembra che non ci siano più regole, dove basta avere un cellulare per filmare e raccontare un’eventuale storia. Ritengo che la gavetta sia una buona cosa. Fare un gradino dietro l’altro ti aiuti moltissimo. Se cadi, non lo fai dall’alto, cadi da quel gradino, quindi fa meno male. Questo vuol dire che hai una tua solidità, quello che hai fatto è tutto costruito. Credo che sia importante lavorare, studiare, riuscire a trovare chi ti insegna, chi ti fa capire. Io ho imparato tantissimo dalle persone con cui ho lavorato.

Dai vecchi giornalisti, dai montatori, dagli operatori, da ognuno ho appreso qualcosa e, per fortuna, continuo a trovare persone da cui imparare. È importante anche come ti poni rispetto a questo lavoro. Bisogna imparare la metodologia, trovare le tue fonti, sempre differenziate con cui confrontarti, tipo il governo e l’opposizione, il rosso e il nero. Fonti diverse ti danno la possibilità di avere informazioni e la complessità di come la realtà si sta costruendo.

Chi è stato il tuo mentore per eccellenza?

Io ho cominciato a fare la ragazzetta di bottega con Demetrio Volcic, quando lui era il corrispondente da Mosca. Sandro Curzi, che è stato il mio direttore al TG3, mi ha mandato, per la prima volta, a fare l’inviata. Michele Santoro, mi ha insegnato come scrivere, come montare. Un vecchio montatore, Silvio Baglivo, proveniente dal cinema. Bernardo Ragli, un grandissimo giornalista, un mito per tutti quanti noi, che quando arrivò a Sarajevo si presento dicendo “Scusate, io sono appena arrivato, c’è qualcuno che mi racconti cosa sta succedendo?”. Lui mi ha insegnato questa cosa straordinaria che è l’umiltà, di non credere o pensare di conoscere le cose, ma essere sempre pronto a capirle.

Da Tiziano Terzani ho imparato che bisogna essere abituati ad essere contraddetti rispetto alle proprie convinzioni. È fondamentale l’onestà intellettuale con cui cominci. Ma la lista di persone che mi hanno insegnato qualcosa è molto lunga.      

Cosa ti lasciano le esperienze che fai?

Quello che tu dai, i posti dove vai, come giornalista, non sono niente. Quello che invece ti danno le persone con cui entri in contatto, che intervisti, è importante. Noi giornalisti continueremo ad essere sempre in debito con loro. Quello che ti da è una comprensione della vita, di quello che conta nella vita, dei valori reali. Nei momenti terribili di emergenza, come l’attuale pandemia o le guerre, capisci cosa conta veramente, dove tutto viene semplificato, il bene e il male, i racconti tra le persone, l’amore e l’odio. Nei momenti di emergenza esistono solo le cose essenziali. Questo ti da un senso molto forte di cosa sia la vita, e raccontare tutto questo è veramente importante.

All’inizio della epidemia in Cina, la cosa che mi ha colpito e ferito è il fatto che quello che stesse accadendo qua, la sofferenza e la gente che stava morendo, non abbia smontato l’dea, nel resto del mondo, che potesse succedere soltanto in Cina, e che, invece, tutti stessero al sicuro. Succederà in Cina, non arriverà da me. Tutto il mondo ha pensato questo. Chissà che abitudini alimentari hanno. Tutti hanno pensato di essere lontani, al sicuro, e che quello che stai raccontando non toccasse te, come quando vedi un film.

Noi facciamo parte del mondo, quindi quello che succede, inevitabilmente finirà per colpire e avere riflessi su tutti noi. Questa è la sensazione che ti da quando affronti dei momenti di emergenza, come una pandemia, una guerra, un paese in cui ci sono stragi o massacri. Niente deve essere dato per scontato. Di come sia importante la vita, i rapporti tra le persone.

Il governo cinese ha reagito in modo energico e applicando restrizioni pesanti anche a livello di diritti umani e personali. Come hai potuto svolgere il tuo lavoro di giornalista in quel contesto? 

Una serie di cose che abbiamo interpretato molto lesive, come l’uso dei droni che intimavano alle persone di non uscire da casa, le stanno adottando in altre parti del mondo. Il lavoro di giornalista ti insegna come lavorare in un contesto difficile, in cui ci sono molto meno accessi all’informazione, sono regolamentati, in cui tu devi avere sempre un riscontro di quello che scrivi. I social media in Cina sono molto importanti, lì trovi grande espressione di pensiero e puoi capire veramente quello che per ora prova tutto il paese.

C’è comunque una forma di censura?

Ovviamente c’è. Sono stati cacciati nove giornalisti americani. Pensa alla storia del dottor Li Wenliang che, da Wuhan, denunciò, a dicembre, la gravità del coronavirus e per tale motivo fu denunciato dalla polizia e intimidito. Lui aveva lanciato il suo messaggio sulla piattaforma WeChat, che, nonostante la volontà di tacitarlo, non andò perduto, anzi si è ingigantito e la pressione è stata talmente forte che le autorità cinesi sono state costrette a rivedere tutta la sua storia e a richiamarlo nell’ospedale da cui era stato escluso, cosa, però, come tutti sappiamo, lo ha portato alla morte, in seguito al contagio da coronavirus. Questo è un esempio in cui la pressione diventa più forte dello stesso bavaglio della censura, cosa molto importante.     

Secondo te il Governo italiano sta facendo abbastanza per limitare i danni?

Credo che il Governo Italiano stia facendo tutto il possibile. Forse mentre esplodeva l’emergenza in Cina, se si compravano le mascherine per tutti, se non si diceva che fosse una stupida influenza stagionale, ma qualcosa di molto più grave, sarebbe stato meglio. C’è stato un periodo di grande sottovalutazione, forse per non creare panico, ma quel periodo poteva essere usato per prepararsi. Credo comunque che il Governo Italiano stia facendo tutto il possibile, tenendo conto di mille difficoltà, come la crescita zero, che sta affrontando una crisi economica spaventosa.

La Cina ha fermato le sue fabbriche con una crescita del 6%. L’Italia ha preso una serie di decisioni molto drastiche in breve tempo. Spero che l’Europa risponda, altrimenti questo momento lo ricorderemo tristemente. Io sono europeista e se l’Europa c’è veramente questo è il momento di battere un colpo.         

Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports

Foto RAI

Tags: cinaCoronaviruscorrispondentegiornalistagiovanna botteriinviatainviata specialerai

Comments 1

  1. Alessandra Bino says:
    5 anni ago

    Bella l’intervista a Giovanna Botteri. Mi è piaciuto molto l’incipit dell’articolo.

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© 2020 EmmeReports Editore Francesco Militello Mirto Direttore Responsabile Antonio Melita Autorizzazione Tribunale di Palermo N.5/2020 Registro Stampa Decreto del 23/6/2020.

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