Arancino o arancina, questo è il problema.
Se sia più nobile sopportare
le ingiuriose occidentali pretese di una parola
per i palermitani atroce, oppure prendere le arancine,
alcune lanciarle contro essi e altre mangiarle.
Morire d’acidità (dopo) ma non dormire, poiché
niente altro è peggio, con le arancine sullo stomaco
Col sonno mettiamo fine alla digestione e al dolore nel cuore
per non essere riusciti a mangiarne ancora una
perché il dubbio ci rende esitanti:
finire con quella accarne o abburro.
È un epilogo da considerarsi in adorazione delle arancioni sfere
che giacciono in calda teglia
Oh che insolenza, pensar che dall’albero provenga il nome,
come dell’orientale convinzione!
Forse più corretto sarebbe il termine “arancina”
poiché alla forma del frutto ella più s’avvicina.
Non me ne voglia l’immenso Shakespeare per questa mia, molto riveduta e moltissimo corretta, versione del celebre monologo dell’Amleto.
Il dilemma comunque si pone più spesso di quanto si immagini, poiché non aspettiamo di certo Santa Lucia per sollevare l’annoso “problema” dell’arancino/arancina, ma è questo il giorno in cui si raggiunge il culmine della contesa.
Per la Crusca entrambi i termini sono corretti in quanto il femminile è di sicuro più attinente alle regole della lingua italiana, ma il maschile è ugualmente attendibile poiché di derivazione dialettale. In dialetto, infatti, il frutto dell’albero è detto arancinu.
Qui a Palermo, invece, utilizziamo molto i vezzeggiativi che hanno valenza anche come diminuitivi : picciridduzza, se ci si riferisce a una bimba piccola, vuccuzza (boccuccia) e Marunnuzza (Madonnina), ma arancinuzza sarebbe stato un po’ cacofonico e così si è deciso per arancina ossia arancia piccola. Lasciando da parte questa conclusione scherzosa, torniamo all’arancina/o.
Come la maggior parte dei piatti siciliani, anche tale prelibatezza che si può gustare tutto l’anno, ma che viene consumata in quantità industriali proprio per Santa Lucia, si fa risalire al tempo della dominazione araba nell’isola e sebbene vi siano fonti che mettono in dubbio tale teoria, resta comunque la più accreditata.
Gli arabi solevano appallottolare il riso aromatizzato allo zafferano, misto a carne di agnello e verdure, nel palmo della mano formando una piccola sfera e avevano la consuetudine di abbinare nomi di frutti alle preparazioni di forma tonda. Il paragone con l’arancia è quindi molto probabile e facile, visto che di aranceti la Sicilia ne è piena. Tonda come un’arancia nel palermitano, a punta come l’Etna nel catanese.
La dorata e croccante panatura, invece, venne introdotta successivamente ovvero alla corte di Federico II poiché durante il XIII secolo il riso speziato e ricoperto di pangrattato era poi fritto per facilitarne il trasporto e la conservazione durante i viaggi e le battute di caccia.
Visto che il termine è oggetto di disquisizioni infinite che non porteranno mai da nessuna parte, l’Accademia della Crusca sembra abbia trovato un compromesso senza ledere “l’onore” delle due opposte fazioni. Ha infatti decretato che, sebbene si usi il femminile per fare riferimento al frutto di un albero, di contro è altresì plausibile consentire l’utilizzo di un termine dialettale al maschile. Così siamo tutti contenti, la Sicilia Occidentale sostenitrice della “femmina” arancina e quella Orientale del “maschio” arancino. In ogni caso ciò che conta non è il genere cui appartiene questa bontà siciliana, bensì il gusto e sia essa tonda, a punta oppure ovale il risultato finale non cambia.
Il segreto, oltre alla cottura del riso e degli ingredienti, è nella cosiddetta “lega” ovvero il composto di acqua e farina che non deve essere né troppo liquido, né troppo denso, ma di una consistenza tale da consentire una perfetta panatura esterna che durante la frittura si trasformerà in una croccantissima crosta dorata. Facendo attenzione a non scottarsi la lingua, dopo un paio di morsi si raggiunge il ripieno un tempo classico, ovvero con ragù di carne o al burro, come dicono a Palermo accarne o abburro. Ormai da diversi anni, però, nei condimenti sono state introdotte delle varianti la cui pronuncia, fortunatamente, resta invariata. Sarebbe un po’difficile infatti, sebbene i siciliani di fantasia ne abbiano da vendere, storpiare spinaci, pollo, salmone e “alla Norma” specialità catanese. Forse solo l’arancina e l’arancino dolci subiscono la stessa sorte delle classiche e diventano accioccolato o annutella.
C’è, infine, l’arancina chi peri (arancina con i piedi), ma quella non è commestibile ed è la forma che noi siciliani assumiamo dopo avere ingurgitato dalle cinque alle dieci arancine a testa. Comunque, divagazioni linguistiche a parte, il giorno di S. Lucia è quello in cui in ogni casa o rosticceria siciliana che si rispetti, riecheggia una sola frase: “al mio segnale, scatenate la frittura!”
RICETTA PER CIRCA 18/20 ARANCINE/NI
Ingredienti:
1Kg di riso Carnaroli
Due bustine di zafferano
100 gr di burro
Grana o parmigiano q.b.
Noce moscata q.b.
Sale q.b. oppure a seconda del gusto personale, anche 2 dadi per brodo di carne
Lt 2,2 di acqua per la cottura
Ripieno:
Per il ragù di carne si seguirà la ricetta dettata dal gusto personale (carne bovina, suina, mista, ragù di pollo, ragù vegetariano)
Al burro:
500 ml di latte
100 gr di farina
Burro, noce moscata, Parmigiano, prezzemolo e sale q.b.
300 gr di prosciutto a cubetti (può anche essere sostituito dal salmone o dallo Speck)
2/3 mozzarelle da 100 gr ca. tagliate a cubetti
Per la “lega”:
Acqua e farina per ottenere una sorta di pastella piuttosto densa
PREPARAZIONE:
Mettere nell’acqua il burro, lo zafferano, il sale o i dadi. Portare a ebollizione, aggiungere il riso e cuocere fino a quando si sarà assorbita tutta l’acqua. Aggiungere il Parmigiano, la noce moscata e versare su una spianatoia, lasciando raffreddare. Preparare la besciamella con il latte, la farina, gli aromi e il Parmigiano. Lasciare raffreddare e poi aggiungere il prosciutto e la mozzarella. Mettere un po’ di riso in una mano, schiacciare il centro e riempire con il condimento. Ricoprire con altro riso, dare la forma desiderata e dopo averla passata nella “lega” e nel pangrattato, friggere in olio bollente.
Buon appetito!
di Monica Militello Mirto – EmmeReports