Nel corso degli anni immagazziniamo ricordi su ricordi che a volte riemergono dalla memoria evocati da un profumo, una frase o una sorta di dejà vu. È proprio questo che mi ha dato lo spunto per la ricetta di oggi. È bastata infatti una parola, mentre si chiacchierava in famiglia, a far sì che iniziasse lo scorrere irrefrenabile dei pensieri e delle immagini legate a essi.
Una sola parola: Carosello, la chiave che ha aperto la porta delle reminiscenze. La mia generazione è infatti quella dei bambini che andavano a letto dopo Carosello, sebbene probabilmente io fossi l’unica a fare l’esatto contrario poiché i miei avevano una pasticceria e cenavamo ben oltre l’orario in cui veniva trasmesso.
Lo guardavo con mia nonna che viveva con noi e, nell’attesa, dopo avere preparato la cena, si sedeva accanto a me e ridevamo insieme per le pubblicità del caffè Paulista, Calimero, il gigante della Ferrero e tante altre. Ma ce n’era una che, chissà perché, mi piaceva in modo particolare: era quella di un distinto signore che stava comodamente seduto al tavolino di un bar, leggendo un giornale e sorseggiando un amaro, solo che quel tavolino era situato nel bel mezzo del traffico cittadino.
Il distinto signore era Ernesto Calindri, grande attore di teatro, l’amaro era il Cynar e la frase dello spot era: “Cynar, l’aperitivo a base di carciofo, contro il logorio della vita moderna”. Beh, a quei tempi forse ne bastava un bicchiere, ma oggi non sarebbe sufficiente nemmeno se ne trangugiassimo a ettolitri. In questo preciso momento, poi, non potremmo nemmeno se volessimo e conosciamo bene la ragione che ci vieta di soffermarci al bar anche per consumare un caffè. Nel pubblicizzare il prodotto venivano decantate le proprietà benefiche del carciofo, tante com’è risaputo. Infatti, oltre la cinarina che apporta benefici effetti alla funzionalità epatica, notevole è anche il contenuto di minerali e vitamine.
Secondo alcune fonti il carciofo deriva dall’antenato cardo selvatico, una pianta originaria del bacino del Mediterraneo appartenente alla specie Cynara.
Secondo una leggenda, Cynara era una ninfa raffinata e bellissima ai cui occhi verdi con pagliuzze viola, pelle rosata e lunghi capelli color cenere, l’impenitente Zeus non riuscì a resistere. Perdutamente innamorato iniziò a corteggiarla ma ella, seppur di animo buono e cuore gentile, aveva anche un carattere orgoglioso, così rifiutò la sua corte. Nessuna ninfa poteva permettersi di respingere il padre degli Dei, e in un momento d’ira egli la trasformò in carciofo, dalle foglie verdi con sfumature viola, duro e spinoso all’esterno ma con un cuore tenero al suo interno.
La parte più prelibata e gustosa del carciofo è proprio quest’ultima ed era molto apprezzato anche nell’Antica Roma dove veniva consumato cotto in acqua e vino, oppure condito con il garum.
In Sicilia, intorno all’anno mille, gli arabi ne trovarono diverse piantagioni e il nome dell’ortaggio deriva dal termine arabo kharshuf o al–kharshuf (pianta spinosa). Durante la loro permanenza a Palermo, invece, i Francesi trovarono una vasta coltivazione di cardi dove si trova l’Ucciardone, storico penitenziario che deve il suo nome proprio al cardo, in siciliano u carduni e in francese chardon.
A proposito di francesi, come alcuni sostengono, il nobile ortaggio che sta orgogliosamente ritto nei campi, venne introdotto in Francia da una notissima fiorentina divenuta regina in seguito alle nozze con Enrico II, ovvero Caterina de’ Medici. Enrico VIII, invece, ne ordinò la coltivazione nei suoi giardini poiché, fra le tante proprietà del carciofo, sembra che il re ne apprezzasse maggiormente quella afrodisiaca.
Partendo dal latino caput (testa) e considerando che del carciofo si predilige l’interno, il termine cappuciola (piccola testa) si trasforma in cacuocciola.
Nel colorito e colorato idioma palermitano, però, c’è un particolare caso in cui la parola cacuocciola non si riferisce all’edibile ortaggio, ma a coleiche assume atteggiamenti altezzosi. Il sintirisi cacuocciola, rende meglio se accompagnato da movimento annacatorio, ovvero il morbido ondeggiare dei fianchi. Il verbo annacare, che ha diversi significati quindi complesso da tradurre, si riferisce anche ai verbi cullare e dondolare. Secondo alcune fonti deriverebbe dal termine greco nákē (vello di pecora), con cui veniva rivestita la culla dei neonati, mentre secondo altre da quello arabo naq’a(h) (culla, dondolo) per arrivare infine al termine siciliano naca, una sorta di piccola amaca le cui estremità venivano fissate alle travi del soffitto. Solitamente sospesa sul letto dei genitori del bimbo sostituiva, nelle famiglie più povere, la culla a dondolo e una cordicella, applicata su uno dei lati consentiva, alla mamma di cullare il piccolo imprimendo alla naca un lento movimento ondulatorio, ossia l’annacata.
Ma tornando al carciofo, uno dei luoghi più conosciuti e rinomati in cui è possibile gustarne di ottimi e in svariati modi è Cerda, un paesino in provincia di Palermo.
Fra le tante preparazioni cui si presta il carciofo ne ho scelta una molto semplice, gustosa e delicata al tempo stesso: i cacuoccioli a viddanedda (carciofi alla contadina). Il gusto forte dell’aglio e l’aroma unico del prezzemolo si uniscono alla dolcezza dei carciofi, cotti lentamente in tegame. Poi, foglia dopo foglia, si arriva al cuore tenero dell’ortaggio verde/viola che, imbibito d’olio d’oliva e pregno del sapore di ogni ingrediente, dona al palato una paradisiaca sensazione di morbida e voluttuosa essenza.
INGREDIENTI per 4 persone:
8 carciofi
1 mazzetto di prezzemolo
2 spicchi d’ aglio
il succo di un limone
Olio EVO, sale e pepe q.b.
PREPARAZIONE:
Pulite i carciofi e dopo avere eliminato le foglie esterne, quelle più dure, tagliate con un coltello le punte e il gambo, lasciandone quanto basta per tenere dritto il carciofo nel tegame. Allargate le foglie per togliere, quanto più possibile, la cosiddetta “barba” e metteteli, via via, nell’acqua acidulata con succo di limone, affinché non anneriscano. Preparate intanto l’aglio e il prezzemolo tritati e dopo avere sgocciolato i carciofi imbottiteli, pressando leggermente il composto al loro interno. Poneteli in un tegame, aggiungete sale, pepe e un bicchiere d’acqua. Infine irrorate il tutto con abbondante olio EVO. Coprire con un coperchio e fate cuocere a fuoco medio per circa 20/25 min
Una variante della ricetta prevede l’aggiunta delle acciughe sott’olio.
Buon Appetito!
di Monica Militello Mirto – EmmeReports