È in atto un cambiamento radicale degli assetti geopolitici globali. Questo non sfugge agli analisti e chiaramente non sfugge neppure alle cancellerie occidentali. Se da un lato prosegue la sfida geopolitica tra USA e Cina, dall’altro la questione iraniana tiene banco nelle scelte americane del governo Biden.
C’è poi la questione libica che vede protagonista la Turchia ed infine, non ultima, la questione russa, che trova campo di scontro e confronto con i Paesi occidentali, sia nel nord della Siria, sia in Iraq. Tutto questo senza dimenticare cosa sta accadendo proprio in queste ore in Afghanistan.
Insomma, gli sforzi occidentali per debellare il terrorismo di matrice islamista, che hanno segnato la vittoria sull’Isis a Mosul quattro anni fa, sono solo un ricordo che si somma all’imminente sconfitta che l’occidente deve riconoscere in Afghanistan dove i talebani oramai controllano il Paese, a poco più di un mese dal ritiro delle truppe della coalizione NATO.
Dunque, in sintesi, se il disegno strategico occidentale era mettere all’angolo l’avanzata dell’islamismo integralista in Medio Oriente ed in Asia centrale, la sfida purtroppo non è stata vinta. Per quanto a noi altri possa interessare poco ciò che accade in questi luoghi, tuttavia è di primaria importanza l’evoluzione geopolitica di queste aree per il mantenimento degli assetti consolidati. Quando parliamo di assetti, è chiaro che facciamo riferimento anche al mantenimento degli interessi economici e commerciali che l’occidente controlla nelle aree citate.
L’islamizzazione quindi non è, non lo è stata mai, una questione culturale, o religiosa. Se mai, è stata e sarà sempre una questione politica ed economica. Tralasciando la questione afghana, di cui raccontiamo spesso, è necessario focalizzare l’attenzione, ancora un volta in Iraq, per provare ad ipotizzare scenari possibili nel breve periodo.
Desta preoccupazione, è ed giusto così, la riorganizzazione, oramai acclarata dello Stato Islamico, che trova base ancora una volta in Iraq. I segnali che arrivano dalle sponde del Tigri sono allarmanti. Gli jihadisti stanno lavorando da tempo per ricreare le condizioni migliori ad un nuovo assalto alla riconquista del paese. Il dato è assodato ed è stato confermato anche durante la riunione tenutasi a Roma della coalizione globale anti Daesh. Proprio a Roma è stato lanciato il nuovo allarme sull’operatività dell’Isis che minaccia sia la Siria che l’Iraq, nonostante la sconfitta sul campo nel marzo di due anni fa. La riserva di jihadisti infatti non manca allo Stato Islamico, se solo si pensa alle frange di miliziani che agiscono indisturbati in Somalia, nel Corno d’Africa e nel Sahel.
Poi vi sono ancora cellule dormienti sulla costa del Mediterraneo, tra Tunisia, Egitto e Libia. Non mancano cellule dormienti neppure in Marocco. Infine i lupi solitari in Francia, in Italia, in Germania e nei Balcani. Al momento però, la zona di massima pericolosità è ritornata ad essere l’area a nord di Baghdad. E’ qui infatti che costantemente bande di combattenti jihadisti attaccano checkpoint militari e della polizia. Puntano a mettere in crisi il sistema di governo locale e puntano al controllo di aree petrolifere come quella di Kirkuk, nel Kurdistan iracheno. Sfruttano al meglio la copertura offerta dalle aree di montagna, sui valichi di collegamento ad ovest che portano in Siria. Nel mentre non fanno mancare neppure gli attacchi al cuore del potere, nella capitale Baghdad. Ultimo in ordine di tempo l’attacco di tre giorni fa con altri tre razzi sparati contro l’ambasciata statunitense a Baghdad. In tutti negli ultimi cinque giorni ben 14 razzi hanno preso di mira soldati americani di stanza in una base aerea nell’area desertica dell’Iraq occidentale, mentre le forze curde in Siria affermano di aver sventato un attacco con un drone, contro militari statunitensi nell’est del Paese.
Dal 6 giugno allo scorso 8 luglio, ci sono stati tredici attacchi con missili e droni-kamikaze contro basi irachene usate anche dagli occidentali. Segnali inquietanti di un’escalation militare. Nei giorni scorsi il Pentagono ha spiegato che l’ultimo attacco su Erbil, area dove si trovano anche i militari italiani della coalizione, era indirizzato verso un “obiettivo importante” senza però specificare quale. In realtà, la conferma degli obiettivi è arrivata direttamente dalle milizie jihadiste con l’annuncio che: abbatteranno aerei nella base del Kurdistan. Qui si trovano anche i quattro NH-90 da trasporto italiani del Task Group Airmobile “Griffon”. Certo, possiamo parlare di propaganda dei miliziani che probabilmente neppure possiedono la capacità operativa per portare a termine i loro propositi. Tuttavia rimane l’allarme.
Di Lorenzo Peluso – EmmeReports
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