È la storia di un’anima inquieta quella di Gigi Martorelli, un artista siciliano nato a Palermo che cerca la sintesi tra un’Italia repubblicana che si va formando, le poetiche delle avanguardie d’inizio Novecento, un Nord industriale che si stacca dal ritmo agrario della nazione e una capitale barocca concentrata sulle proprie liturgie; la storia di un uomo sensibile che finalmente trova pace in un paese raccolto e silenzioso del messinese: Capo d’Orlando. Pochi anni dopo la sua morte, avvenuta nel 2015, il Museo degli Angeli ne presenta dieci grandi opere orlandine, per la prima volta in mostra.
Un’occasione rara per ammirare i lavori conclusivi di una lunga vita trascorsa nell’arte, dipinti che raccolgono decenni di ricerche ma hanno la forza di presentarsi con una forma ancora una volta nuova, e assolutamente personale. Anche Roberto Santoro, uno tra i fondatori dell’Associazione Pathos che è titolare delle dieci tele, sottolinea la forza generatrice, nonostante l’età, del maestro: “Le opere, tutte di grandi dimensioni, splendide e, mai esposte prima, risultano potenti e innovative al tempo stesso. L’Artista, dopo un’⁹attività lunghissima è fresco di talento creativo e tecnica realizzativa. Ne gode e si diverte quando con esse cresce e la tela impressiona”.
Per comprenderne appieno l’importanza è necessario seguire la vita di Gigi Martorelli e fare subito una premessa storica sulle così dette Avanguardie: il Novecento è stato un secolo di guerre atroci e sistematiche, di rivoluzioni, di ideali traditi, di speranze e disperazione ma l’arte non aveva precorso l’immane tragedia. Le Avanguardie, in gran parte, crearono linguaggi per esprimere sistemi di valori nuovi, scardinatori di equilibri millenari, espressione di mondi futuri. Questo tempo nuovo, però, non è ancora nato dalle ceneri del disastro e i linguaggi rivoluzionari non sono quindi diventati poesia ed epica ma restano tecnica innovativa, ricerca individuale e sete di libertà. Gigi Martorelli li ha usati con destrezza e sapienza, raccontando sé stesso, rifuggendo dalla volontà di immaginare e costruire nuove utopie.
Gigi Martorelli come si è detto è siciliano, non palermitano ma di madre agrigentina e di padre marchigiano: è un figlio della terra più che del mare, del giusto rigore di un padre tenente colonnello ma anche della sua creatività, in quanto direttore di banda nel Regio esercito. Sette figli di questa famiglia che abbandonò Palermo per gli Appennini, che iscrisse Gigi al nautico ma seppe assecondare con il liceo artistico la sua aspirazione alla bellezza. All’Accademia Martorelli fu allievo dell’ormai anziano Pippo Rizzo, che aveva vissuto l’ideale futurista, durante il breve periodo milanese iniziato nel 1957 ebbe il sostegno di Giuseppe Migneco e frequentò Brera e gli intellettuali del Bar Jamaica, ma nonostante la vita della grande città avesse un proprio fascino preferì tornare in Sicilia e dedicarsi per alcuni anni all’insegnamento. Martorelli ebbe un’infanzia di simboli, di cui ne aveva purtroppo compreso la fragilità e la violenza svelata dalla guerra, un’innata sensibilità musicale e buone doti da vocalista che gli hanno permesso di ragionare sui ritmi e sugli impasti timbrici, trasformati in vibrazioni di colore.
L’arte di Gigi Martorelli si può riassumere con una sua frase, trovata navigando in rete: “Nel continuum spaziale il segno si poggia a generare una forma che vive di sé stessa, che è creazione al di sopra di ogni rapporto referente”. Come nella musica jazz la pulsazione ritmica, le sonorità che prendono corpo e si espandono creando un ambiente fisico, un’architettura fluida e avvolgente su cui ogni strumentista ricama e dialoga con la propria inconfondibile voce, così anche l’espressione pittorica di Martorelli prende spunto dal reale, che siano immagini o ricordi non importa, per lavorare ogni singola parte con preziosa e brillante autonomia. Nel 1962 è la sua prima personale, alla Galleria Flaccovio di Palermo, nel 1970 il trasferimento a Roma, la rinuncia alla docenza, la vita da artista indipendente che durerà nella Capitale per 10 anni, con una serie di mostre di successo nelle Gallerie “Soligo”, “Due Mondi”, “Bitta” e a “Il vantaggio”.
Poi nel 1980 ancora un taglio, l’inizio di una nuova ricerca immerso nella natura aspra e toccante della costa messinese, a Capo d’Orlando, che sostiene con la sua malinconica grazia una fase introspettiva e lirica, capace di fissare l’evanescente bellezza dell’arco vulcanico eoliano che appare sull’orizzonte o di guardare serenamente nella propria intimità. Le dieci tele della mostra “Nel sonno di Gigi Martorelli” ritengo appartengano a questo sguardo interiore che il Maestro, così riservato e schivo nel quotidiano, sapeva ormai volgere a quell’intima esplosione di energia e di musica fatta colore. Pochi segni fondamentali, gli occhi vigili dei pesci e la lisca in trasparenza di “Barriera corallina”, gli ottoni e le chiavi di “Composizione” che forse è un ricordo della banda dove i rossi fanno gli assoli e i blu tengono bordone; anche “Continuum” è una piccola orchestra ma racconta la vicenda dell’uomo fatta di musica, personaggi, alberi fruttuosi e vele lontane: è narrazione, quindi Martorelli distingue il flusso terreno e transitorio dalla limpida fissità dell’infinito.
“Il lavoro dell’uomo ha cambiato la terra” potrebbe essere una riflessione sull’essere isola, dove le vele spiegate sono confine e umano limite e il cuore è di ferro, sangue e sudore nel rosso vomere dell’aratro; “Oggetti, attrezzi arcaici, teste di pupo” sono azzurri ricordi di una giovinezza nel mito, sul vermiglio pulsante della vita che continua a battere; “Paesaggio meccanico” e “Presenze nuove” ribattono la distanza fra il transitorio, concreto e roboante, umano e apparentemente dispersivo con la leggerezza del cielo, geometrico e sognante.
Infine la grande tela di “Situazioni” larga due metri e mezzo, conclusione e quintessenza dell’intera mostra: l’orizzonte è un nastro sottile, il mare un piccolo campo blu colmo di pesci, tutto il resto è umanità, esistenza, fatta di prati, farfalle, uccelli forse fiori musica e campagne lontane; c’è il desiderio, potrebbe esserci il piacere passato, la nostalgia di quel che si è semplicemente tanto desiderato senza poterlo avere. “Situazioni” è una sorta di autobiografia, racconta soprattutto dell’Artista, con il suo medesimo carattere: gentile, schivo e fondamentalmente solo.
di Massimiliano Reggiani – EmmeReports
Ricerche ed editing a cura di Monica Cerrito