Le norme possono servire a distrarre, distrarre l’attenzione su posizioni ideologiche e linee di principio fino a ritenere che, su queste, si possa arrivare ad una effettiva cura dei problemi. Soprattutto quando le norme vengono assunte quale veicolo per presentare visione e capacità di esercizio del potere. Questo accade quando si agisce in fretta e quando non c’è stato un adeguato tempo di ascolto e di riflessione per studiare le strategie di intervento.
Le norme che precedentemente non sono state supportate da un percorso di prevenzione e promozione, dunque, alla fine possono contribuire a cristallizzare il problema o ad amplificarlo, perché ciò che si distrae prima o poi torna! Se il nuovo governo, a pochi giorni dal suo insediamento, ha ritenuto necessario varare un decreto legge inerente a specifiche restrizioni sui rave party, c’è da pensare che fino ad oggi c’era un così grave vuoto legislativo, da procurare uno stato di “straordinaria necessità ed urgenza” d’intervento.
Se la questione di fondo fosse relativa al fenomeno rave, allora, sarebbe stato opportuno, prima di codificare nuove norme, fermarsi a riflettere chiedendosi perché migliaia di giovani cerchino di aggregarsi spontaneamente trovando, come comune espediente per radunarsi, la musica techno veicolata dalla installazione di assembramenti di casse quadrate e distorte, con suoni duri e potenti il cui ritmo viene accompagnato dal poli consumo di sostanze e alcol.
Lo spazio dilatato, come i grandi padiglioni abbandonati o le aperte campagne, rivela plasticamente la ricerca di libertà assoluta, di mancanza di confini e la possibilità di espressione senza limiti. Un modo differente di fare musica, di sentirla fino a lasciarsi trasportare dalle battute per minuto (BPM) sempre più veloci.
Se il numero di battiti del cuore al minuto (bpm) in condizioni regolari oscilla tra i 60 e i 100, la musica techno parte da un ritmo che va a 160 bpm e a quel punto inizia il viaggio. I ritmi cerebrali, naturalmente, tendono a sincronizzarsi con quelli musicali, l’attenzione è catturata come in modo ipnotico e quando questo accade per migliaia di persone che danzano allo stesso ritmo l’energia sincrona che si veicola procura una immersione totale. Questa esperienza viene ulteriormente sollecitata dalle sostanze psicoattive che “permettono” di rimanere sintonizzati con la musica fino allo stato di trance dissociativa, come essere in un altro mondo.
Quel ritmo, inoltre, assume una connotazione tribale come a marcare l’identità del gruppo che appartiene ad una grande comunità senza distinzioni e dove anche i confini interpersonali paiono perdersi. Si assiste, infatti, ad un abbigliamento comune che elimina ogni connotazione di genere, e ad un ballo fusionale dove il contatto mescola i corpi eliminando ogni distanza o caratterizzazione individuale. Insieme a quella che sembrerebbe una ricerca identitaria, anche se in realtà tale immersione procura uno smarrimento del senso del sé, il rave rappresenta una presa di posizione sociale nei confronti della cultura dei consumi e del perbenismo che vorrebbe scartare una parte del mondo, perché ritenuta “inutile” da chi detiene il potere economico!
Una presa di distanza, dunque, dal quel sistema che fonda sull’utile l’importanza di una persona reggendosi sul motto “Se non hai non vali”. I giovani, che comunque gestiscono economie precarie, trovano nel rave una via di espressione libera, senza condizionamenti e senza costi, al di fuori degli schemi e capace di garantire espressività creativa e, soprattutto, in questo modo decidono di sottrarsi dalla visione di chi vorrebbe dare loro un prezzo.
I rave, dunque, rispondono al bisogno di aggregarsi e gioire insieme agli altri, il clima di simpatia e amorevolezza procura un senso di benessere emotivo che favorisce l’apertura relazionale e la disinibizione nei rapporti. La riflessione, allora, deve partire da un ascolto delle istanze delle nuove generazioni che, in vario modo, stanno denunciando un’organizzazione mondiale che non funziona, perché continua a generare processi di disumanizzazione che non rispondono al desiderio di vita e alla ricerca di felicità.
Pensiamo, ad esempio, alla organizzazione sociale fondata sull’assegnazione di potere in base al merito raggiunto, prospettiva su cui si sta già muovendo il nuovo governo e che, nella percezione giovanile, poggia sulle ferite esistenziali di una generazione che si è vista attribuire riconoscimenti in base alle performance di turno. Questa prospettiva scarta tutta una fascia di popolazione che è priva delle condizioni socio-economiche per acquisire competenze, mentre vengono premiati quanti sono più agiati. La visione meritocratica, inoltre, rischia di dare un valore monetario alle persone e quindi all’inserimento nelle cerchie sociali, ciò significa che il riconoscimento passa per il budget personale e non per la dignità che spetta ad ogni essere umano.
Se i giovani, anche attraverso i rave, cercano un universo parallelo, prima di varare nuove norme, allora c’è da chiedersi come offrire traiettorie di umanità dove si generano incroci e condivisione, scambi di competenze e rapporti di reciprocità. La Comunità di Danisinni cerca di offrire un crocevia per la città di Palermo. Un contesto in cui la gli spazi comunitari e le persone che li abitano traducono una visione di bellezza e di gratuità che fa della partecipazione una occasione di dono per sé e per l’altro.
Di Fratel Mauro Billetta – EmmeReports