“Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace”, disse Padre Pino Puglisi, ritenendo fondamentale il ruolo della scuola e dell’educazione nella crescita e nella rigenerazione di coloro che vivevano nel quartiere di Palermo, noto solo per la mafia e la criminalità diffusa.
“Cosa facciamo in questa scuola? Resistiamo” Antonella di Bartolo, Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo Statale Sperone Pertini.
“Quanti moduli le lascio?”, chiese Di Bartolo. “Tutti”, rispose il nonno di Raniero. Il porta a porta ebbe la sua prima vittoria col panettiere. Aveva un nipotino di due anni e mezzo, poteva anche lui frequentare la scuola? Detto e fatto. Dopo due settimane, il nonno di Raniero riportò i venti moduli compilati alla preside. In modo simile accade nella cartoleria, nella farmacia e nel supermercato. Anche le mamme erano curiose dopo aver trovato dei bigliettini nelle buche delle lettere. E quindi c’era la possibilità di rimettere su la scuola? Non c’era una lista d’attesa, come non c’era neanche la consapevolezza del diritto a frequentare la scuola materna. Sì, si poteva fare, ma si dovevano portare cinquanta domande d’iscrizione come promesso all’assessore per far partire le procedure. È la Pertini riaprì.

Sono le 9:30. Un bambino passa veloce, saluta ed entra nell’aula 5G. È Raniero, il nipotino del panettiere.
“Parrucchiere, cuoco, è una questione di contesto”. Giada Bini, Insegnante plesso Sperone ICS Sperone Pertini.
Nel suo messaggio dedicato alla Giornata Internazionale dell’Educazione 2023, il segretario generale dell’ONU António Guterres invita a tenere viva la fiamma della trasformazione: “Offriamo sistemi educativi in grado di sostenere società egualitarie, economie dinamiche e i sogni di ogni studente del mondo oltre ogni limite”.
Nella terza elementare di Vita Licata si parla della giornata, soffermandosi sul diritto ad avere una scuola di qualità. L’esempio di Malala gli serve di guida. La sua storia ha suscitato nei bambini delle emozioni contrastanti. Per loro è normale venire a scuola, bambine e bambini insieme. Che ci siano delle bambine e ragazze senza gli stessi diritti, che addirittura non possano ballare o guardare la TV, per loro è una cosa impensabile. Credevano che fosse qualcosa di chissà quale epoca. Invece no, Malala ha soltanto 25 anni. Gioele e Chiara non conoscevano la sua storia, ora sì, e per loro “è molto coraggiosa. Ha fatto tutto questo per il suo paese, per fare andare a scuola gli altri in tutto il mondo”.
Lavorando sul quarto dei 17 obiettivi del 2030 dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, una frase colpisce gli alunni della maestra Licata: “Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo”. “Ed è quello per cui noi come scuola lottiamo”, aggiunge la maestra.
Nell’aula di Sabrina Li Pira e Melinda Fradella, invece, gli alunni hanno dedicato la giornata ad un’educazione sana e equilibrata, facendo la spremuta di arance “come segno di portare al bambino anche una buona vita, di portare quello che impara a scuola anche a casa”. Per la dirigente scolastica Antonella Di Bartolo, è bello che si parli di educazione in occasione di una giornata, ma bisognerebbe occuparsene ogni giorno, essendo al centro dell’agenda politica delle nazioni che vogliono investire sul futuro. Può essere l’occasione adatta per ragionare su quello che accade dentro e fuori della scuola.
“Voglio rimanere qui perché ci credo al riscatto. Non mollo. Non mollo”. Vita Licata, Insegnante plesso Padre Puglisi.
Istituto Comprensivo Statale Speroni Pertini, 7 plessi, dall’infanzia alla media, dai 3 ai 14 anni. 170 docenti, 50 collaboratori scolastici e amministrativi. Una vera squadra. Dieci anni fa, nel plesso Pertini c’erano quattro classi. Le lavagne come porte dei bagni. Uno dei piani non era utilizzabile. Era il Bronx. Una scuola destinata alla chiusura. Oggi la scuola intitolata al Presidente Sandro Pertini ospita 31 classi, dalla materna alla media.
“All’inizio c’erano soltanto due sezioni da 25 alunni”, ricorda Di Bartolo. “L’anno successivo diventarono tre, perché quando sai di avere il diritto di chiedere, lo fai. Era assurdo che ci fosse un gap tra la scuola materna e la scuola media. Quindi andai a chiedere la scuola elementare. Oggi sì, abbiamo la lista di attesa e anche la scuola primaria”.
“È bellissima anche come struttura”, afferma Nando, collaboratore scolastico del plesso Pertini. “Gli insegnanti, i colleghi, tra di noi tutto apposto, tutto ok. La preside è in gamba, troppo in gamba”. “Nelle scuole ci stanno un sacco di persone e andare sempre d’accordo è complicato, quindi avere una guida che riesce a far andare avanti tutto non è facile. La preside è una persona veramente eccezionale”, concorda l’insegnante Giada Bini.

“La scuola è una gran bella scuola, si lavora tantissimo, la nostra dirigente è capace di portare un sacco di progetti. Si lavora tanto bene anche tra i colleghi, perché l’obbiettivo è quello di dare più possibilità ai nostri ragazzi e di farli crescere”, conferma Maria Antonietta Sidoti Pinto, insegnate di sostegno, contentissima di lavorare in questo ambiente di “scuola di frontiera”. Dal plesso Padre Puglisi anche la piccola Irene è d’accordo: “Quando le nostre mamme ci dicono che non possiamo andare a scuola, ci mettiamo a piangere, perché qui è bellissimo”.
“Vedere come riescono a scrollarsi quella mentalità del quartiere, che talvolta può essere un po’ soffocante, per noi è una grande vittoria”. Lavinia Runfola, Insegnante di sostegno plesso Sperone ICS Sperone Pertini
L’educazione come promessa di futuro. Non ci può essere una prospettiva di futuro senza la cultura, senza l’istruzione, ma l’educazione deve andare un po’ oltre l’istruzione e basta. Deve anche occuparsi del benessere della persona. I processi educativi devono essere visti all’interno di una riflessione profonda della società, dei servizi che ci sono intorno e quindi di un ragionamento. La scuola deve far crescere le persone da tutti i punti di vista. Oltre le competenze, c’è anche il patrimonio emozionale, l’intelligenza emotiva, il sapere stare e costruire insieme, tutto quanto da sviluppare. Ma aldilà della scuola, deve essere rivista la società.
Edoardo ci saluta e ci prende le mani, “Come vi chiamate?”. Poi, usciamo e torniamo dopo qualche minuto. “Chi siete? Sempre voi? Francesco, adesso non hai i guanti!”.
Mariella Di Quarto, la sua insegnante di sostegno, ci spiega che la particolarità del suo lavoro è il creare un rapporto col bambino, seguirlo in tutte le sue attività, adattare la sua patologia a tutta la classe, rendendola meno invalidante, in modo tale che gli alunni siano tutti uguali. “Sono loro che ti danno tanto. Ti fanno crescere, ti fanno capire tante cose che tu da sola non potresti capire ed è una cosa molto bella”. Al Padre Puglisi, Mariella è gli occhi di Edoardo.
Un “insegnante inclusivo”, come lo definisce Maria Antonietta Sidoni Pinto, ha il compito di includere la disabilità all’interno della classe, preparare l’ambiente affinché possa accoglierla. “Che poi, ognuno di noi, alla fine, ha una particolarità, una fragilità, ed è quindi far diventare punto di forza la fragilità”, spiega l’insegnate del plesso Pertini.
Nella scuola, come incubatrice di società e di cittadinanza, i bambini imparano dall’esempio, da quello che vedono fare, non soltanto da quello che sentono raccontare. La scuola, insieme alla società, si gioca il tutto nel testimoniare messaggi coerenti e credibili.
In aula, la Melevisione porta i bambini nel mondo delle fiabe. A Natalie piacciono le fiabe, soprattutto a quelle classiche. Quando legge, prova emozioni. “A casa chi ti legge le fiabe?”, le domandiamo. “Adesso le leggo io, prima mia madre”, ci risponde la piccola Natalie. Sotto i tavoli, i bambini hanno dei libricini che possono prendere quando vogliono.
La bellezza della scuola risiede nel suo potere di interpretazione dei territori in cui sono inseriti e nella sua capacità di contribuire al cambiamento.
Per l’insegnante Anna Cirino il miglior modo di insegnare è quello pratico: “Quando affrontiamo degli argomenti nuovi, mi piace portare la classe nel laboratorio scientifico. È bello che i bambini sperimentino con le loro mani, sono proprio esperienze di vita”. Come difende Antonella Di Bartolo, “la scuola deve essere più appetibile e divertente della strada. A scuola tu devi poter fare cose che la strada non ti consente di fare, cioè deve essere il luogo delle possibilità”.
Chiara è l’ideatrice di un giallo, scritto in classe con i suoi compagni su Dante, Paola e Francesca. Dedicano almeno un’ora a settimana alla scrittura del racconto. Tutti insieme mettono le proprie idee e il loro sogno è di vederlo pubblicato. Chiara spera di continuare a scrivere almeno come hobby, anche se vorrebbe fare la psicologa. Giulia, invece, ritiene di non essere ancora così grande per decidere sul suo futuro, per il momento vorrebbe fare la criminologa, “mi piace molto scoprire cose”. Anche Matilde vorrebbe intraprendere questo percorso da detective, “voglio fare Science Umane e avere già una base per fare la criminologa”. Nella classe dell’insegnate Palmira Salinas, c’è un’altra Chiara che, però, vuol diventare infermiera “per la ricerca sulle malattie”. Ecco questa è la scuola, il luogo delle possibilità.
Intanto, la tentazione di traslare dei modelli educativi stranieri, tante volte deve fare i conti con la mancanza di strutture adatte, non solo materiali, ma anche mentali o culturali, ma le cose si possono cambiare. Ad esempio, quando i bambini hanno accesso a uno spazio esterno, possono sviluppare la loro immaginazione, la loro osservazione, raccogliere materiali e far diventare tutto quanto qualcosa di nuovo, un racconto, un disegno, un’equazione matematica. Le possibilità sono infinite.
Con Marcella Garofalo le opere d’arte vanno rielaborate per abituare i bambini a riflettere, a ragionare, a stare un attimo più attenti: “Fare delle cose che siano un po’ divertenti e un po’ serie, in maniera tale che loro ragionino sulle cose importanti. L’inclusione è inventarsi venti cose diverse di fare contemporaneamente”.
Poi c’è il gioco, l’imparare attraverso il divertimento. “In Italia la cultura è tristezza e noia. Troppo nozionistica”, afferma Antonella Di Bartolo, mostrandosi critica verso il retaggio culturale italiano. Per fortuna, nell’aula delle spremute di arancia, le insegnanti spiegano che “il gioco è alla base dell’educazione, perché il bambino riesce a esprimere il proprio essere, tutto ciò che ha all’interno, la sua creatività, il suo modo di relazionarsi anche con gli altri, quindi, conoscere sé stesso e gli altri. È anche un modo per maturare ed esplorare ciò che lo circonda. È un’attività ludica che lo diverte ma che nello stesso tempo serve per costruire nuove conoscenze e abilità”.
Insomma, la cultura a portata di mano per tutti, senza eccezioni, perché come dichiara Di Bartolo “a me non piace la cultura che è per un’élite. Non ci interessa una cultura elitaria che fa crescere soltanto quelle dieci persone privilegiate. La nazione non cresce se tu non fai crescere tutti e racconti soltanto una parte. Altro che crescita della nazione, altro che crescita dell’intelligenza. Una nazione non ha bisogno di ideologi, ha bisogno di persone che sanno fare. Ha bisogno di tutti. Però mi devi far crescere tutti”. Per lei, arrivata allo Sperone e Brancaccio seguendo l’esempio di Don Pino Puglisi, bisogna difendere la missione della scuola statale, quella di essere per tutti. “La scuola statale ha la propria missione laica di essere per tutti e dovrebbe essere anche per ciascuno, nel senso di cucire l’abito su misura per ciascuno dei bambini e delle bambine, che hanno ovviamente situazioni differenti e anche potenzialità tutte differenti. Però è una missione bellissima”.
“Si sentono come se non avessero una prospettiva futura. Sono nati allo Sperone, vivranno allo Sperone, avranno una vita mediocre allo Sperone. Magari con la cultura potrebbero avere quantomeno un’idea che esista un ventaglio di possibilità e che sta a loro decidere se provare a sfondare il muro dello Sperone e andare oltre o no, però quantomeno fanno una scelta”. Palmira Salinas, Insegnante Plesso Sperone ICS Sperone Pertini
“Sono diventata adulta a 43 anni, il che è dolorosissimo, anche perché ovviamente ho dovuto mettere in discussione anche Antonella di Bartolo di 42 anni. Ero un’adulta, un’adolescente diventata adulta ma rimasta adolescente di testa. Vivevo nella mia bolla rassicurante, ma questa è la vita!”.
La dirigente dello Sperone Pertini conosce bene il pregiudizio. Lo ha provato anche lei quando è arrivata nel quartiere, ma si è ricreduta quasi subito. Inizialmente voleva scappare, adesso non vuole andar via. Nella sua prima esperienza lavorativa come insegnante, non pensava di avere l’opportunità di contribuire a cambiare la vita degli studenti. Allo Sperone lo ha capito: “Qua puoi essere anche determinante”. Insieme agli insegnati condivide, oltre la consapevolezza del pregiudizio che gira intorno ai quartieri popolari, quella dell’utilità del loro lavoro.

Anche l’Insegnante Lucia Giacomarra difende l’importante ruolo che lei e le sue colleghe hanno allo Sperone Pertini: “È una scuola ricca di insegnanti che hanno voglia di lavorare e lo fanno con passione, amano il proprio lavoro e vogliono dare a questi alunni, un’opportunità diversa da quella che è stata loro etichettata per il territorio dove vivono. E noi siamo veramente soddisfatti, ci danno tante soddisfazioni e qui riusciamo a tirare fuori quello che hanno. Ci sono dei talenti, dei bambini bravi sotto ogni punto di vista, anche se vivono in una zona o in un contesto particolare, ma il nome non è sempre equiparato alla qualità a chi ci vive”.
Quella di Lavinia Ruffola è stata invece una scommessa: “Ho messo come prima scelta lo Sperone, un po’ perché il mio pregresso sono le scuole a rischio, quelle che nessuno mette mai tra le prime scelte. Ho voluto veramente capire come si è evoluta e quello che si può fare per la scuola. Per me è stata una grande crescita personale e professionale”.
Anche per Maria Antonietta Sidoti Pinto è stata una scommessa: “lavorare in questo ambiente è veramente una sfida, perché questi ragazzi sono fondamentalmente fragili, hanno bisogno di tutto, hanno bisogno di affetto, ognuno di loro ha una storia abbastanza pesante alle spalle. Per noi è un lavoro abbastanza complesso, ma che ti dà tante soddisfazioni, perché sono piccoli e fragili, quindi tu li vedi sbocciare pian pianino. Una bellissima esperienza. È il primo anno che insegno in questo ambiente, perché sono sempre stata nei quartieri residenziali di Palermo ed è una storia completamente diversa”.
Per Vita Licata insegnare nel quartiere è una sfida: “non bisogna mai pensare che, dato che siamo in un quartiere di periferia a rischio dispersione, non si possa andare avanti, anzi. Sono in questa scuola da vent’anni, quindi avrei anche le carte in regola per poter cambiare zona, andare nelle zone in di Palermo, ma non voglio, no. Voglio stare qui, lavorare qui, voglio lottare qui insieme ai miei bambini”.

La sfida del mestiere, dell’insegnamento di frontiera è una sfida particolare. “Essendo inseriti all’interno di un quartiere di Palermo considerato difficile, ci rendiamo conto che, quotidianamente, la sfida che affrontiamo entrando, varcando la soglia della classe, è proprio quella di trovare un contatto con i ragazzi, attraverso quelli che sono i mezzi a disposizione, la cultura”, dice Palmira Salinas.
“Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con i genitori e con i bambini che, per me, hanno veramente delle potenzialità che andrebbero sviluppate maggiormente. Purtroppo il quartiere offre quello che sappiamo, ma noi cerchiamo di tenere i bambini occupati dentro la scuola e non nelle strade. Se ci sono rimasta 25 anni lo stimolo ci sarà, il motivo ci sarà”, aggiunge Anna Cirino.
Lo Sperone e Brancaccio, una realtà a pochi passi dal mare, quel mare negato come tante altre possibilità che qui mancano. Un quartiere periferico di una città del Sud, dove la colonna sonora sa di sirene, ma non del mare, ma delle ambulanze e forze dell’ordine. Un quartiere dove, nel migliore dei casi, il mestiere più gettonato è l’estetista per le bambine e il barbiere per i maschietti. E ben venga.
“In questa scuola il vero problema dell’immaginarsi nel futuro è l’esempio in cui sono immersi”, spiega Giada Bini. “É un quartiere chiaramente difficile e povero, dove la scolarizzazione degli adulti è bassa, dove non ci sono tanti laureati, avvocati, medici e professionisti, i lavori che i bambini conoscono sono quelli a loro più vicini, il parrucchiere o magari la segretaria di un medico curante. Palermo è una grande città del Sud, ma con un’economia molto depressa, dove quelli che stanno bene sono gli impiegati e i dipendenti pubblici. Non c’è quel tessuto imprenditoriale, economico, di vitalità produttiva, per cui c’è la possibilità il lavorare in fabbrica o nella logistica. L’esempio che hanno intorno è molto povero, molto basso”.

La Chiave di lettura di Giada Bini è condivisa anche dalla Preside: “Il contesto in cui ci troviamo è un contesto complicato in cui gli orizzonti addirittura sono negati, anche fisicamente. Negare il mare vuol dire negare il sogno, il futuro, la capacità di immaginazione, non è soltanto privare i bambini, ma anche le loro famiglie, di una giusta fruizione del patrimonio naturalistico, ma anche di una prospettiva di sviluppo economico che può essere l’alternativa reale all’economia malata che impera allo Sperone”.
La riapertura dell’Istituto Complessivo Scolastico Sperone Pertini ha rappresentato una speranza di sviluppo economico per i commercianti del quartiere, una continuità per la cartoleria, il panificio e il supermercato. Nuove potenzialità delle famiglie coinvolte nello sviluppo scolastico, oltre il pregiudizio.
“Abbiamo dapprima iniziato a lavorare dentro la scuola. Quando siamo riusciti a far ripartire lo Sperone Pertini, facendo vedere al quartiere che c’eravamo quotidianamente, abbiamo iniziato a guardare fuori, perché il problema da queste parti è l’incoerenza e la rassegnazione”, spiega Di Bartolo. “Per loro la dispersione scolastica del 27% e le scuole cadenti sono una cosa normale. Non va bene, quindi dobbiamo contrastare la rassegnazione di chi ci vive e di chi ci lavora”.
“C’è collaborazione, c’è un bel rapporto tra famiglia e scuola, tra insegnanti e genitori, si lavora in reciproco aiuto”, aggiunge Lucia Giacomarra. “C’è la consapevolezza che l’insegnante lavora per il bene dei propri figli. Io auguro a tutti di vivere la scuola con questo clima. Si deve partire dalla realtà. I bambini devono capire attraverso gli esempi quotidiani. La quotidianità per loro è tutto, quindi bisogna calarci nella realtà di ognuno di loro ed estrapolare quelle strategie che possono aiutarli a capire, ad andare avanti, questa è la cosa più importante”.

E poi ci sono gli esempi, come quello di Giovanni Falcone, interpretato da Andrea in un videoclip girato qualche anno fa. Dopo quella esperienza, mentre viaggia in aereo insieme alla preside, durante un viaggio d’istruzione, gli confessa di sentire “una cosa dentro”, qualcosa che non sa spiegare ma che “non gliela toglierà mai nessuno”.
“Immedesimarsi nel lavoro di persone che spesso in questi quartieri vengono viste come altro, come il nemico, ma capire che intanto stanno svolgendo il loro dovere e che sono più meritevoli di altri, tanto da essere presi come punto di riferimento, queste sono esperienze che nessuno cancellerà nella memoria di questi ragazzi”, continua a raccontare Antonella Di Bartolo. “Nonostante ciò, siamo assolutamente consapevoli che la sola scuola è insufficiente. È una condizione necessaria per un cambio anche culturale nel contrasto alla criminalità organizzata, ma non è sufficiente se non si interviene con politiche di sviluppo economico, quindi con il lavoro, costruendo alternative possibili, praticabili e reali rispetto alla scelta cattiva, alla mala strada, solo così verrà fuori poi tutto il lavoro che si fa a scuola”. Insomma, le cose si possono fare perché alla volontà, la buona volontà, non la ferma nessuno.
“Cercare proprio di leggere secondo i loro occhi, fargli vedere il mondo, che non è solo quello che hanno visto loro. C’è tanto altro, hanno il mondo di fronte” Maria Antonietta Sidoni Pinto, Insegnante sostegno plesso Sperone ICS Sperone Pertini.
Alla 5G ci aspetta “la maestra più brava del mondo”, a parere di Cristian, a cui, come a tutti quanti qui, piace venire a scuola. “L’educazione è una cosa importante”, aggiunge il suo compagno Matteo. Benvenuti e caramelle. L’insegnante Valeria Castelli, non smette mai di sorridere mentre prova a contenere l’impeto dei suoi ragazzi. Tutti vogliono parlare, tutti ci vogliono raccontare. A questo punto, serve l’intervento della massima autorità.
Prende la parola Alessio, il “Sindaco” dello Sperone Pertini, che dichiara di avere “fatto tanti incontri con il vero sindaco Roberto Lagalla”. Da grande vorrebbe fare il macellaio, ma adesso è il Sindaco e, come tale, si deve fare rispettare, comportandosi bene e facendo le pulizie delle strade. In un momento di spontanea solennità, fascia tricolore inclusa, procede alla lettura del cartellone che ha realizzato con l’aiuto di tutti i suoi compagni puntualizzando che “è in dialetto per farmi capire da tutto il mio paese”.

Finisce l’intervento con una nota musicale, sempre Alessio, non il sindaco, ma il cantante. Un privilegio, visto che ha cantato davanti a Cesare Cremonini.

“Ti vergogni quando canti?” chiese Alessio all’ex dei Luna Pop, che gli rispose con le stesse parole della “maestra più brava del mondo”: “ci vuole forza e coraggio”. E di forza e coraggio qua se ne intendono parecchio!
“Raniero, hai un sogno?”, chiediamo al nipote del panettiere di Brancaccio e che diede il via a questa bella storia. “Sì, viaggiare. Viaggiare, magari facendo il pilota”.
EmmeReports desidera ringraziare Antonella Di Bartolo, le Insegnanti e tutto il personale dell’ICS Speroni Pertini ma specialmente: Alessio, Raniero, Gioele, Chiara, Natalie, Giuseppe, Kevin, Irene, Chiara, Giulia, Matilde, Chiara, Samuele, Jasmine, Sofia, Ismaele, Giulia, Cristian, Giuseppe, Alessio e Matteo e tutte le bambine e i bambini che ci hanno accolto dove i sogni possono prendere forma, la Scuola.
Di Victoria Herranz e Francesco Militello Mirto – EmmeReports