Si sono dati appuntamento davanti la Chiesa del Gesù di Casa Professa le persone che, martedì pomeriggio, hanno partecipato alla marcia silenziosa per dire ancora un no al crack e a tutte le dipendenze.
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Dalla partenza da Piazza Casa Professa, i manifestanti hanno attraversato Via Maqueda, il Cassaro e hanno infine raggiunto la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, dove nei prossimi mesi si dovrebbe discutere un disegno di legge che si occupi dei L.E.A., ovvero i livelli essenziali d’assistenza per i tossicodipendenti e per le loro famiglie.
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“Finalmente si sta facendo qualcosa di proficuo, siamo al tavolo dell’assessorato per discutere la legge”, ha dichiarato Francesco Zavatteri, il cui figlio Giulio è stato ucciso dal crack.
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“È una strada tutta in salita”, ha affermato il Dottor Zavatteri. “Cambiare qualcosa è difficile, però c’è la volontà di farlo e questo è già importante. Dobbiamo soprattutto capovolgere questo stigma dei ragazzi che sono in uso le sostanze, perché sono degli esseri umani come noi e vanno aiutati e tutelati”.
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Poche le persone che hanno partecipato al corteo in un centro storico a volte silenzioso e deserto. Nessuna persona affacciata ai balconi lungo il percorso, quasi a voler dire che il problema legato alle dipendenze non ci appartiene finché non ci colpisce in pieno stomaco.
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“Siamo qua per sostenere questo progetto e se si dovessero finalmente realizzare questi che all’inizio sembravano sogni e che ora, pian piano, sembrano arrivare a diventare una realtà, ben venga”, ha spiegato Lara Messina, mamma di Diego Mancuso, un’altra giovane vittima della dipendenza da crack e amico di Giulio Zavatteri.
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“Ci siamo anche noi, con il nostro dolore, la nostra tristezza, ma con la certezza che qualcosa si può fare”, ha aggiunto commosso Antonio Mancuso, papà di Diego. “La vicinanza delle persone ci ha aiutato e ci continuerà ad aiutare. La vita ci ha tolto qualcosa e quello che ci è rimasto lo dobbiamo tenere stretto. É poco quello che è rimasto”.
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“Per nostro figlio non c’è stato tempo, non c’è stato un modo, c’è stata molta assenza da parte delle Istituzioni, io non ho notato vicinanza, mi sono ritrovata a sbattere contro delle porte chiuse, a cercare strade che non andavano da nessuna parte, a fare telefonate inconcludenti”, ha continuato Lara Messina. “Adesso speriamo che invece qualcosa si muova per questi ragazzi, per queste famiglie che si ritrovano in queste condizioni”.
“Noi genitori non lo sappiamo cosa si deve fare, non lo capiamo, ci vuole qualcuno che ci aiuti. Oramai a noi non puoi aiutarci nessuno, ma a tanti altri sì, a tanti altri si”. ha concluso Antonio Mancuso.
Davanti la Cattedrale, l’Arcivescovo di Palermo, Monsignor Corrado Lorefice ha incontrato i manifestanti e ha parlato con loro: “Ci appartiene ogni giovane e il sogno è che ogni giovane possa vivere in pienezza di libertà. Nessuno si deve permettere di schiavizzarlo, nessuno. Crack è volontà di qualcuno di dominare, di schiavizzare, di non lasciarci liberi, di illuderci, di strumentalizzare i giovani”.
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“Dietro il crack c’è un’industria che vuole illudere, ma per lucrare”, ha aggiunto Lorefice. “I nostri giovani devono sapere e noi adulti ci dobbiamo assumere questa responsabilità. Ci sono giovani che soffrono e che ancora oggi sono sotto questo tremendo potere. Ci devono essere le Istituzioni, ci deve essere anche una legge che ci aiuta ad accompagnare tutti i giovani che vivono dentro questa morsa, le loro famiglie, i loro affetti più cari, i loro amici”.
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“Uniti, uniti, non ci sono etichette, non ci sono barriere. Uniti perché viviamo la stessa città e la città la costruiamo insieme. Se ognuno di noi si corresponsabilizza, ognuno di noi è cittadino e come cittadini ci uniamo. Così infrangiamo le barriere che sono prima di tutto mentali. Insieme senza etichette, non possiamo che essere dalla parte dei giovani, dalla parte delle famiglie che conoscono la conseguenza tremenda di un crack”, ha detto Lorefice prima di congedarsi dal corteo.
Di Francesco Militello Mirto e Victoria Herranz – EmmeReports