La caponata è un piatto che si presta sia come antipasto, che come piatto unico.
La sua origine e l’etimo, danno adito a ipotesi più o meno documentate e controvertibili. La più antica sembra essere quella greca, secondo cui la parola “caponata” deriva da “captos”, ovvero tagliato. In effetti la “caponata” è composta da verdure tagliate a pezzi. Forse non tutti sanno che soltanto nella nostra regione, tale pietanza conta 37 varianti!
Altra ipotetica origine potrebbe risalire a quella latina, che fa riferimento alla “caupona”, l’osteria in cui avventori abituali o di passaggio, solitamente marinai, si fermavano per rifocillarsi e bere un buon bicchiere di vino. Tutto per annaffiare del pane tostato condito con aglio, olio, olive, capperi e acciughe.
Un’ultima ipotetica origine della “caponata” pietanza, nonché del termine, potrebbe ricondursi al capone condito con verdure in agrodolce. Questo tipo di “caponata”, però, è la variante ricca del piatto, perché il pesce non era alla portata di tutte le tasche, come può accadere anche ai nostri giorni.
Indubbiamente la nostra gastronomia, ha subito innumerevoli “variazioni sul tema” per via delle numerose dominazioni che si sono succedute. Ognuna di esse, quindi, ha lasciato la propria traccia anche nell’arte culinaria. L’unico dato certo è che la “caponata”, sebbene preparata in maniera diversa, a seconda della zona, mantiene una matrice comune. Le verdure, infatti, sono sempre soffritte e fritte e l’agrodolce è una costante.
Solo la preparazione con il capone, tipica palermitana, sembra dovuta al Monsù della corte Borbonica. Il Monsù era una figura professionale determinante e immancabile nelle cucine della nobiltà siciliana dal VXIII al XIX secolo. Il suo ingresso alla Corte di Ferdinando I di Borbone, si deve alla sua consorte Maria Carolina d’Austria, che dopo il matrimonio pretese venissero introdotti a corte cuochi francesi, rappresentanti della cucina più elegante, raffinata ed elaborata al mondo. Monsù deriva da “Monsieur”, storpiata dagli “autoctoni”. Erano eccellenze nel loro campo, capaci di unire sapientemente odori e intensi sapori, utilizzando i prodotti che la terra di Sicilia offriva loro e dando vita a piatti corposi dal gusto impareggiabile e apprezzato sia a Corte che nei sontuosi e luculliani pranzi negli antichi palazzi.
Ai Monsù si deve dunque l’invenzione di ciò che venne chiamato “cuonza”, ovvero composto, da mischiare al capone probabilmente ispirandosi alla francese Ratatuille e alla catalana caponada. Da una parte haute couisine a corte, dall’altra piatto povero nei ceti meno abbienti. Ciò che mangiavano i ricchi, infatti, con qualche “correzione” più economica poteva perfettamente trovarsi sulla tavola di chi non aveva grandi possibilità, poiché le “materie prime” erano prodotti locali, facilmente reperibili e poco costosi. Nella ricetta popolare il costoso e pregiato pesce, venne allora sostituito dalle melanzane. La “caponata” ha così viaggiato nel tempo, arrivando a noi mantenendo inalterati gli intensi sapori dei prodotti che la nostra terra assolata produce.
Tante le varianti, un solo segreto: la preparazione. Dal soffritto di cipolla, all’aggiunta graduale dei vari ingredienti. Per ultimo, le melanzane rigorosamente fritte e il tocco finale dell’agrodolce che completa il mix di odori mediterranei che si sprigiona dalla nuvola di vapore, stuzzicando l’olfatto e aprendo l’appetito. Quell’agrodolce che non deve risultare né troppo dolce né “acitusu” (aspro) ma, bilanciato alla perfezione, deve accarezzare il palato di chi gusta questa delizia tutta sicula! Sapori che si fondono ma che, al tempo stesso, si distinguono singolarmente. Per comprenderne la voluttuosa sapidità occorre assaggiarla, perché spiegarne la bontà è davvero difficile e non rende merito a uno dei piatti più rappresentativi della nostra splendida Sicilia.
Per chi volesse prepararla, qui di seguito la ricetta più classica.
Ingredienti per 4 persone:
4 melanzane nere;
2 cipolle bianche;
2 pomodori medi pelati;
200g olive bianche;
50 g di capperi dissalati;
2 cuori di sedano;
1 ½ cucchiaio di zucchero;
1 bicchiere di aceto bianco.
Olio di semi, per la frittura
Preparazione:
Tagliare le melanzane a dadini, lasciando la buccia. Salarle e metterle in un colapasta affinché perdano il liquido amaro e per avere una frittura più asciutta.
Affettare le cipolle e soffriggerle in olio d’oliva. Appena si saranno imbiondite, aggiungere i pomodori, le olive precedentemente tagliate a pezzetti, il sedano anch’esso tagliato a pezzetti e i capperi. Salare q.b. e cuocere a fuoco lento per circa 20 minuti (aggiungere un poco d’acqua, se la preparazione dovesse asciugare troppo). Passare le melanzane sotto l’acqua corrente, asciugarle e friggerle in abbondante olio di semi. Quando sono ben dorate e unirle al resto. Aggiungere, infine, l’aceto ben mescolato allo zucchero e fare cuocere ancora per un paio di minuti. Può essere gustata calda, ma fredda è ancora più saporita.
N.B.: zucchero e aceto possono essere dosati, in più o in meno, a seconda del gusto personale.
Di Monica Militello Mirto – EmmeReports