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Busiate al pesto trapanese (pasta cu l’agghia)

by Monica Militello Mirto
Home Culture

L’estate volge al termine, ma la Sicilia si prende ancora del tempo per regalare, sia agli autoctoni che ai turisti settembrini, un mare azzurro più che mai, un cielo terso e tramonti mozzafiato in questo periodo dell’anno ancora più accesi. Fra i tanti di questa splendida terra c’è un luogo in particolare  in cui il tramonto è davvero un momento magico e resta indelebile nella memoria di chi ha l’opportunità di ammirarlo: la riserva naturale dello Stagnone, in provincia di Trapani. Qui i mulini a Vento e le saline rosa si tingono delle tinte rosso-arancio, mentre il sole man mano scompare dietro la linea dell’orizzonte infiammando il cielo. L’aria profuma di mare, sale e erbe aromatiche  che crescono spontanee, armonia perfetta di essenze che nutrono l’anima affamata di bellezze.

Passando le ore, però, mentre lo spirito è appagato con la poesia, un’altra parte un po’ più prosaica inizia un sordo brontolio, reclamando le bontà culinarie della zona. La scelta è vasta, ma non assaggiare le “busiate al pesto trapanese” sarebbe proprio un sacrilegio. La busiata è un tipico formato di pasta fresca menzionata in alcuni manoscritti arabi prima dell’anno 1000 e, secondo alcune fonti,  il suo nome deriverebbe dal  termine “buso”, ovvero un ferro da maglia usato nel trapanese per lavorare la lana e il cotone. Un’altra ipotesi più accreditata, invece, fa riferimento alla parola “busa” il sottile stelo di una pianta mediterranea, l’Ampelodesmos mauritanicus, detta anche “Disa”.

La caratteristica forma a spirale delle busiate cattura il  “pesto”, composto da ingredienti che gli conferiscono un gusto unico e una consistenza corposa. Anche il pesto vanta origini molto antiche  ed è, come si evince da diversi scritti, una variante di quello alla genovese che deriva, a sua volta, quasi certamente dall’agliata preparata dai marinai genovesi con teste d’aglio schiacciate, l’aggiunta di un filo dolio e sale.

Le loro navi, “da e per” l’Oriente, attraccavano nel porto di Trapani e la popolazione del luogo, probabilmente ispirata da quella salsa all’aglio, aggiunse i prodotti del territorio alla ricetta originale. Un tempo rigorosamente preparate con l’ausilio di mortaio e pestello, queste salse prendevano il nome di salse pestate. Nel pesto alla trapanese, a parte l’aglio, considerato l’elemento preponderante per sapore e odore (chiamato infatti dai greci rosa fetida), troviamo il pomodoro, le mandorle tostate e il profumatissimo basilico, immancabile e insostituibile aroma in tantissime ricette della nostra cucina.

Si pensa che il  suo nome derivi dal greco Basilikon (erba regale)  e successivamente dal latino basilicum. Il termine veniva a volte confuso con quello del mitologico Basilisco, un serpente dal veleno letale il cui unico antidoto era proprio il basilico. La pianta ha quindi ispirato diverse leggende, una delle tante narra che venne raccolto dall’Imperatrice Elena, madre di  Costantino, sul luogo della crocifissione di Gesù. Nell’antico Egitto veniva utilizzato durante le operazioni, per curare le infezioni e per purificare gli ambienti, i Greci lo consideravano di buon auspicio per l’Aldilà, mentre nell’Antica Roma era una pianta sacra a Marte. Plinio il vecchio sosteneva che avesse proprietà afrodisiache  e per questo il basilico divenne uno dei simboli degli innamorati, mentre nel Medioevo era associato al sentimento dell’odio e a Satana. La pianta viene anche citata nel Decameron in cui Boccaccio, probabilmente ispiratosi alla leggenda delle teste di Moro, scrisse la novella che racconta di Lisabetta da Messina, una giovanissima donna che sotterra la testa mozzata del suo innamorato, ucciso dai fratelli, in un cesto di basilico, innaffiandolo soltanto con le sue lacrime. Invece nella vicenda che narra dell’origine delle teste di moro, la fanciulla ingannata da un bellissimo moro lo decapitò e della testa ne fece un vaso in cui piantò il verdissimo basilico che crebbe rigoglioso.

I vicini, per non essere da meno, si fecero costruire dei vasi in terracotta e nacquero così le famose  “Teste di Moro”. Quante leggende, quanti simboli, quanti odori e bellezze fanno della Sicilia un meraviglioso luogo in cui cultura, gastronomia, magia e storia si fondono perfettamente e rendono davvero unica quest’isola posta fra cielo azzurro e il blu del mare. Così come si fondono, uniscono e si amalgamano alla perfezione gli ingredienti del pesto alla Trapanese: aglio rosso di Nubia, pomodorini di Pachino e Mandorle di Avola, il tutto avvolto dall’olio dei nostri argentei ulivi.

INGREDIENTI per 4 persone

600 gr di busiate (pasta fresca)

500 gr di pomodori (possibilmente di Pachino)

Un mazzetto di basilico

8/10 spicchi di Aglio (meglio se quello rosso di Nubia)

40 gr di mandorle tostate

100 gr di pecorino grattugiato, grana o parmigiano (a seconda del gusto personale)

olio extravergine di oliva q.b. al fine di ottenere un composto mediamente denso

sale, pepe

PREPARAZIONE

La preparazione del pesto richiederebbe l’uso del mortaio, ma per ridurre i tempi un frullatore o un mix va bene lo stesso. Mettere, quindi, insieme l’aglio, il basilico, le mandorle i pomodori precedentemente pelati e infine l’olio EVO e il formaggio. Frullare fino a ottenere un composto cremoso, dall’aspetto leggermente granuloso. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata, scolatela al dente e versatela nella bolla con il sugo. Mescolate bene e servite.

Di Monica Militello Mirto – EmmeReports

Tags: Busiate al pestocucinapasta frescaStagnoneTrapani

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© 2020 EmmeReports Editore Francesco Militello Mirto Direttore Responsabile Antonio Melita Autorizzazione Tribunale di Palermo N.5/2020 Registro Stampa Decreto del 23/6/2020.

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