È Giorgio Vasari nelle sue celebri “Vite” a narrare che lo “Spasimo” di Raffaello Sanzio eguagliava per fama il vulcano Etna. Siamo nel primo ventennio del ‘500, al grande pittore fu commissionata l’opera che oggi si ammira al Prado di Madrid. Per ospitarla degnamente, Antonello Gagini fu incaricato di realizzare un altare in marmo che, dopo alterne vicende, fu dimenticato a Villa San Cataldo, a Bagheria.
La storia della tavola di Raffaello è strettamente legata a quella dello Spasimo e dell’altare del Gagini. La chiesa di Santa Maria dello Spasimo, finanziata dal giureconsulto Jacopo Basilicò e approvata da Papa Giulio II nel 1509, fu realizzata da maestranze spagnole. L’ingresso era preceduto da un atrio, aperto da un grande arco ribassato e affiancato da due cappelle simmetriche coperte da cupolette (ne rimane solo una).
Il Basilicò decise di commissionare al più famoso pittore del tempo, Raffaello Sanzio, un dipinto che raffigurasse proprio lo Spasimo di Maria Vergine, cioè il dolore della Madonna nel vedere il figlio cadere sotto il peso della Croce sulla via del Calvario. Raffaello, ispirandosi ad un’incisione del tedesco Dürer, realizza l’opera intorno al 1517.
E’ il Vasari a raccontare il naufragio della nave che trasportava lo Spasimo lungo le coste liguri, del ritrovamento della tavola da parte dei genovesi che tentarono di appropriarsene e dell’intervento di papa Leone X perché fosse riconsegnata ai palermitani. Fatto sta che lo Spasimo giunge a Palermo tra il 1518 e il 1519 e viene collocato nella cornice marmorea del Gagini. E’ un’opera straordinaria, la più grande, mai completata da Raffaello, di un’assoluta armonia formale e cromatica nelle figure e nel paesaggio, equilibrio compositivo e rigore prospettico.
Raffaello riesce ad esprimere in modo contenuto il dolore della Vergine, e il Cristo, vestito, non appare sfigurato dalle torture subite. Nulla nei dipinti di Raffaello, doveva turbare la visione composta, anche se il tema era sconvolgente come la Passione di Cristo. L’altare e la tavola, tanto venerata dai palermitani, seguono i monaci olivetani nel trasferimento dallo Spasimo al monastero di Santo Spirito. Ma nel 1661 l’abate Clemente Staropoli, tramite il viceré Francesco de Ayala, dona il prezioso dipinto a re Filippo IV di Spagna, sostituendolo con una copia.
L’opera, conservata nella cappella dell’Escorial, ha rischiato di essere distrutta in un incendio, è razziata dalle truppe napoleoniche e trasportata a Parigi dove, nel 1812, è trasferita dalla tavola originaria su tela. Restituita alla Spagna, entra nella collezione del Prado di Madrid dove è esposta tuttora.
La storica dell’arte Maria Antonietta Spadaro, ha avuto ritrovato l’altare, 34 anni fa. Oggi è stato ricostruito e rimontato allo Spasimo, dove lo disegnò il Gagini nel 1516. Il posto dello “Spasimo di Maria Vergine” di Raffaello, è stato occupato dalla sua “ricostruzione” a cura di Factum ARTE che ha firmato l’analoga operazione per la Natività del Caravaggio rubata all’oratorio di San Lorenzo cinquant’anni fa.
Il lavoro di ri-materializzazione è firmato da un team di storici, artisti, restauratori ed esperti di software 3D dell’organizzazione internazionale fondata da Adam Lowe a Madrid. Il progetto di recupero, ideato da Vittorio Sgarbi e Bernardo Tortorici di Raffadali, è inserito tra le manifestazioni per i 500 anni dalla morte di Raffaello, coordinate da un comitato scientifico nominato dal MiBaCT.
“Sono venuto con molta convinzione, perché questa è la più importante scoperta dell’anno raffaellesco” afferma Vittorio Sgarbi – “È vero che quest’altare era già stato composto, ma non nelle condizioni di vederlo con il dipinto in una replica assolutamente perfetta, come ci ha abituato Factum Fondation e Adam Lowe che da tempo hanno intrapreso le riproduzioni in 3D. La copia ha gli spessori e la materia, addirittura restituendo il dipinto alla condizione di tavola, perché è stato trasportato su tela come accedeva nel ‘800, e qui invece lo vediamo come l’ha concepito e ha galleggiato in mare, secondo Vasari, il capolavoro di Raffaello”.
“Voglio immaginare che Raffaello, nel primo ventennio del ‘500, avesse detto qualcosa per una cornice coì straordinariamente classicheggiante, magari ispirata da lui, con le colonne tuttotondo e le lesene che qui sono messe fuori campo, il timpano classico che richiama il mondo antico, civiltà che lui, nella lettera a Leone X, intese salvare come primo sovrintendente di Roma, rispetto a rovine che erano state messe in condizioni di oblio dagli stessi contemporanei, non solo dai barbari” ha spiegato Sgarbi.
“Vedo in questa cornice lo spirito classico di Raffaello. La ricostruzione di questa potentissima cornice è il compimento dello Spasimo di Sicilia, un luogo molto conosciuto e frequentato, dove si ricostituisce un’unità e un’armonia tra architettura e pittura, in cui la riproduzione è talmente precisa che migliora l’originale. In cui la cornice stabilisce un nesso tra architettura e pittura che era sicuramente negli intendimenti di Raffaello, degnamente celebrato a Palermo attraverso questa ricomposizione” ha concluso Vittorio Sgarbi.
“Una restituzione alla città di Palermo” ha affermato il sindaco Leoluca Orlando, “un’opera che è scampata a naufragi, distruzioni e bombe, e che oggi rivediamo nel suo virtuale, straordinario splendore, come neanche Raffaello riuscì ad ammirare mai”.
L’idea della riproduzione si deve a Bernardo Tortorici e Peter Glidewell di Factum Arte, il ritrovamento a Maria Antonietta Spadaro che ha sottolineato come “lo Spasimo nello Spasimo è emozionante. È stato un lungo lavoro di recupero e restituzione, che oggi emoziona”.
Sarà possibile visitare la cappella che ospita l’altare allo Spasimo, nell’ambito del festival RestART, ogni venerdì e sabato dalle 19 a mezzanotte fino al 29 agosto. Biglietto: 3 euro. Questo primo weekend (10 e 11 luglio) visite dalle 19 alle 20:30.
di Francesco Militello Mirto – EmmeReports