Il Comando dell’Italian Joint Task Force (IJTF) si trova a 7 chilometri da Nassiriya, Iraq, in una base denominata “White Horse”, distante circa 4 chilometri dal Comando USA di Tallil. Il Reggimento MSU/IRAQ, composto da personale dei Carabinieri Italiani e dalla Polizia Militare Romena è diviso su due postazioni: la base “Maestrale” e la “Libeccio”, entrambe poste al centro dell’abitato di Nassiriya. La base italiana è animata dai preparativi per la partenza. Alcuni militari, tra voglia di riabbracciare le proprie famiglie e malinconia, stanno per lasciare l’Iraq per tornare in Patria. Il loro impegno nell’Operazione Antica Babilonia, la missione di pace italiana in Iraq, sta per terminare.
In Italia sono le 08:40 di un normale giorno di novembre, bambini e studenti si apprestano a iniziare un altro giorno di scuola, c’è chi apre il proprio negozio, chi comincia un’altra giornata di lavoro in ufficio. A Nassiriya, Iraq, sono le 10:40, quando un camion cisterna pieno di esplosivo si scaglia a piena velocità contro la base Maestrale. Un boato squarcia il silenzio della mattina. Gran parte dell’edificio principale crolla, i vetri delle finestre vanno in frantumi. Molti mezzi militari prendono fuoco, così come la “Santa Barbara” che custodisce le munizioni. Il bilancio è devastante, 28 morti, 19 Italiani. Il traffico nella zona circostante impazzisce, la popolazione scende in strada in preda al panico. Alle 10:40, 28 cuori smettono di battere, la speranza di tornare a casa e riabbracciare i propri cari viene cancellata da un vile attentato terroristico. I sorrisi, il cameratismo, le pacche sulle spalle e le esperienze umane vissute nella polverosa Nassiriya svaniscono in pochi tragici istanti. 19 italiani, tra Carabinieri, Soldati dell’Esercito Italiano e alcuni civili, torneranno a casa avvolti da una bandiera tricolore.
Non so cosa sia passato nella mente di questi valorosi uomini prima di morire, quando il terreno sotto di loro è esploso in una nuvola di polvere, pietre e frammenti vari, quando le loro carni si squarciavano e le loro uniformi diventavano rosse di sangue. Ma sono sicuro di una cosa, che se fossero sopravvissuti, avrebbero chiesto di tornare in missione, per i propri compagni d’arme, per i popoli martoriati dal fanatismo religioso, per il proprio Paese. Tornerebbero a respirare la polvere dell’Iraq come quella dell’Afghanistan, anche con le cicatrici che la guerra lascia sui corpi e nell’anima di chi l’ha vissuta, anche se molti non capirebbero.
“Non dimenticateci!” ci direbbero i 19 Italiani caduti a Nassiriya, così come tutti gli altri militari, operatori di pace, medici, volontari e giornalisti morti nelle Missioni Internazionali. Tanti, troppi, coloro che hanno perso la propria vita in zone di guerra. Chi combattendo il nemico, chi saltando su un IED (Improvised Explosive Device), chi salvando una vita e chi raccontando fotograficamente il lavoro dei militari.
Questa mattina, una “parte” di Palermo, una “parte” delle Istituzioni e una “parte” della stampa locale non ha voluto “dimenticarli”, ricordandoli nella 13^ Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, iniziata con una breve cerimonia di deposizione di una corona d’alloro dinnanzi al monumento loro dedicato all’interno di Villa Bonanno e proseguita con una Messa nella Cattedrale di Palermo. Nel corso dell’omelia, il Decano dei Cappellani Militari di Sicilia ha voluto evidenziare quanto l’operato di militari e civili nelle operazioni per la pace rappresenti con grande umiltà, semplicità e cuore, l’impegno dell’Italia nel consesso internazionale.
Il Generale di Brigata Rosario Castello ha ringraziato le famiglie dei Caduti di Nassiriya, mentre il Generale di Brigata Maurizio Angelo Scardino ha voluto porre l’accento sul pieno coinvolgimento nel ricordo dei Caduti di tutte le categorie professionali che hanno subito lutti sul percorso della pace, simboleggiato dalla lettura delle intenzioni da parte di rappresentanti di Forze Armate e Forze dell’Ordine, giornalisti, medici, diplomatici e volontari. Quest’anno è stato chiesto a noi di EmmeReports di rappresentare i giornalisti Embedded, leggendo davanti le autorità militari e civili di Palermo: “Tu che ci hai chiamato a servire il prossimo attraverso i mezzi dell’informazione, dona a tutti di farlo sempre nell’obbedienza alla verità, con il coraggio di pagare di persona, affinché non sia mai tradita”.
Presenti in Cattedrale anche i familiari dei Caduti di Nassiriya, tra cui Marco Intravaia, figlio del Vice-Brigadiere dei Carabinieri Domenico Intravaia, morto in Iraq il 12 novembre 2003. “Un ricordo molto doloroso, una ferita che non si rimarginerà mai, da allora la nostra vita è cambiata” ha detto a Marco. “Abbiamo vissuto gli ultimi diciotto anni con grande dolore, ma con grandissimo orgoglio, consapevoli che mio padre e i suoi commilitoni hanno sacrificato la vita per la Patria, consapevoli dei rischi a cui andavano incontro”.
Marco Intravaia ha perso il proprio padre in una missione internazionale, nonostante questo tragico evento, che ha segnato per sempre la sua vita, continua a credere nella Patria, un valore che il Vice-Brigadiere caduto in Iraq nel 2003, ha insegnato a lui e sua sorella. “I nostri Caduti ci hanno lasciato un bagaglio di valori che le nuove generazioni devono conoscere e non disperdere” ha spiegato Marco. “La sofferenza per la perdita di un proprio caro è tanta, ma bisogna essere consapevoli del motivo per cui si sacrifica la propria vita. I Caduti di Nassiriya sono morti per la pace, per la ricostruzione di quei territori e per difendere il nostro Paese dall’avanzare del terrorismo islamico. Se pensiamo a quello che è accaduto negli ultimi mesi in Afghanistan, al rapido ritiro delle nostre Forze Armate, ovviamente si viene raggiunti dallo sconforto, perché sembrerebbe che il sacrificio dei nostri Caduti in quei territori, sia stato vano. Ma voglio credere il contrario”.
Di Francesco Militello Mirto – EmmeReports