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“Planet Shark” di Enrico Cecotto: un murales in difesa dell’ecosistema marino

by Redazione
Home Culture Arte

Palermo si sta colorando con le opere del progetto “Museo a Cielo aperto” curato da Miliza Rodic e promosso, in accordo con la Soprintendenza, dal Comune di Palermo. La prima creazione di Street Art è un grande squalo bianco, che adesso campeggia su Via Principe di Granatelli; lo ha dipinto Enrico Cecotto, artista veneto nato a San Donà di Piave nel 1986.

“Sapere che il progetto ha come obiettivo la riqualificazione urbana e la sostenibilità ambientale – spiega l’artista – mi ha dato grande entusiasmo, perché sono temi che sento particolarmente. Sono molto legato al mare e alle sue affascinanti creature ma prediligo lo squalo, che tratto in diverse mie opere. Lo squalo deve sempre essere in movimento perché se si ferma muore, questo mi riporta alla nostra vita quotidiana: viviamo in una società liquida dove l’unico modo per sopravvivere è non arrendersi mai affrontando senza fermarci le continue sfide che la vita ci pone. Planet shark è il titolo dell’opera, sulla pelle dello squalo sono dipinti detriti di plastica e fiori simbolo di vita e di speranza. Mi auguro che osservando l’opera ognuno rifletta sulla responsabilità individuale nella tutela del nostro pianeta; per avere cura dell’ambiente basta veramente poco, è il nostro comportamento quotidiano a fare la differenza!”.

Enrico Cecotto utilizza un alfabeto figurativo, comprensibile da gran parte dell’umanità nonostante le differenze linguistiche. È un mondo di immagini fortemente stilizzate, globalizzanti, ormai lontane dall’esperienza diretta con la realtà che le ha generate. La vita reale raccontata attraverso la rappresentazione che altri ne hanno fatto, ma non è un parlare per citazioni, tutt’altro. Lo squalo, che la maggior parte di noi ha visto solo nei documentari o nel buio di una sala cinematografica, è evidente, identificabile ma assolutamente non mediterraneo. È uno squalo empatico, lontano dalle spiagge australiane, dalle acque antartiche, è il dominatore dei mari ma non lo conosciamo per esperienza diretta.

Sappiamo che esiste e adesso, invece di spaventarci, ne cogliamo la fragilità: riempirlo di plastica e di lattine è palesemente un atto immorale. Lo sentiamo felice nel corpo fiorito, nei colori arcobaleno di tante lotte sociali eppure tutto questo è un corto circuito mentale. Il grande predatore non conosce né arcobaleni né corolle profumate, rischia la vita fra reti e pescherecci, intossicato da plastica e lattine galleggianti; il murales ci fa riflettere sui mari inquinati, le catene alimentari e la desertificazione dei fondali. Lo squalo, stilizzato e trasformato in un contenitore di idee, diviene un monito a ricordare che nel nostro mondo, fin troppo umano, la potente e fragile natura deve rimanere sempre presente nella coscienza collettiva.

Anche il tema del teschio, che tutti conosciamo dai trionfi della morte ai cenotafi, al memento mori e tutti i monumenti funerari, è trattato nella serie Vanitas con irriverente leggerezza formale, fatta di preziose trame decorative; non perde però il significato profondo di riflessione sulla caducità degli status symbol sociali. Per Cecotto “Vanitas rappresenta un accumulo di ricchezze materiali, che come una matassa di pesanti detriti costituisce l’icona della morte. Gli occhi, specchio dell’anima, sono rappresentati, appunto, da frammenti di specchio. Il fruitore che osserva gli occhi della morte vede la propria immagine scomposta, proprio come fa la morte: separa l’anima dal corpo; ma quello che può trattenere a sé è solo la materia e non lo spirito”.

Dai tessuti ai frammenti di vetro, dall’acrilico al murales di Palermo, l’arte di Cecotto mescola tecniche tradizionali all’innovazione pur di potenziare l’impatto comunicativo e usa un repertorio iconografico di facile lettura dando però all’immagine simbolo un significato nuovo, assolutamente non scontato e molto spesso carico di una forte tensione morale. Ce ne dà un ritratto il professor Saverio Simi de Burgis, docente di Storia dell’arte contemporanea e della metodologia della critica all’Accademia di Venezia: “Enrico Cecotto lavora da anni su un collaudato repertorio della storia dell’arte riproponendosi in termini originali. È partito da piatte e festosamente colorate nature morte, composte in particolare da accesissimi cromatici frutti resi giganti sulla tela, provocando il desiderio del fruitore con la stessa forza suggestiva di un manifesto pubblicitario elegantemente stilizzato nei più precisi rimandi formali. Nelle sue opere utilizza prevalentemente l’acrilico che risulta, nelle piatte stesure, più brillante dell’olio, ma la sua attenzione è da sempre rivolta a voler sperimentare diversi media al fine di rendere più reali e suggestive le sue proposte in termini tattili e tridimensionali.

“Questo è il suo modo per riprendere, con un sottile giudizio critico di rivisitazione, le avanguardie del Novecento che sembravano volersi distaccare definitivamente dalla pittura già con il dada di Marcel Duchamp, ma anche nella sua ripresa Pop degli anni Sessanta, fino agli epigonismi estremi di un Maurizio Cattelan o di un Damien Hirst”. 

Enrico Cecotto – Planet Shark in Via Principe di Granatelli a Palermo

di Massimiliano Reggiani – EmmeReports

Tags: arteEnrico CecottoMiliza RodicmuralesMuseo a Cielo apertoPalermostreet artteschio

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